Precedenti interventi dei Tribunali
Già in passato la giustizia di molti Tribunali, e di conseguenza la Corte Costituzionale, avevano manifestato tutto il loro dissenso nei confronti di questa legge; in particolare ne è andata a toccare i principali punti, vale a dire il divieto di fecondazione eterologa, l’obbligo di impiantare al massimo tre embrioni e tutti insieme, il divieto di accesso alle tecniche (e conseguentemente alla diagnosi preimpianto) alle coppie fertili, il divieto di selezione degli embrioni in caso di patologie genetiche
Oltre dieci anni di decisioni dei giudici di ogni grado, giungendo fino alla Consulta, hanno di fatto “smantellato” i capisaldi della legge. A partire dal primo: il ricorso alla fecondazione assistita è consentito solo per le coppie infertili, così recitava l’articolo 1. Due sentenze, dei tribunali di Roma (2014) e Milano (2015), sollevano questione di legittimità costituzionale in base alla presunta disparità che questa norma introduce a svantaggio delle coppie fertili, punto su cui si pronunciò la Consulta. Sullo stesso argomento i tribunali di Salerno e Cagliari hanno accolto i ricorsi di coppie non sterili, il primo, nel 2010, ammettendo per la prima volta in assoluto alle tecniche di Pma una coppia non sterile.
Demolito anche l’articolo che vietava il ricorso alla fecondazione eterologa: la Consulta nel 2014 dichiara l’illegittimità costituzionale del divieto, sostenendo che è discriminatorio per le coppie in cui uno dei due è totalmente sterile, e che potrebbero sperare in una gravidanza solo con i gameti di un donatore. Mentre il tribunale di Firenze nel 2012 solleva questione di legittimità costituzionale sul divieto assoluto di revoca del consenso alla Pma dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo.
Capitolo a parte quello sugli embrioni, che costituisce la seconda parte della legge: il tribunale di Firenze nel 2012 ricorre ancora alla Consulta sul divieto assoluto di ricerca clinica e sperimentale sull’embrione, mentre è la Consulta stessa a dichiarare illegittimo uno dei passaggi più contestati della legge, quello che vincola la produzione di embrioni “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”. La Consulta, nel 2009, sancisce che il trasferimento degli embrioni nell’utero debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna, aprendo di fatto alla possibilità della crioconservazione degli embrioni stessi, in origine vietata dalla legge, se il medico ritenesse che un immediato impianto fosse a rischio per la donna.
Si ricordi poi la sentenza del maggio 2015 in cui la Corte stabilì l’illegittimità della legge 40 nella parte in cui vietava l’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto alle coppie fertili affette da gravi malattie genetiche, sempre con riferimento alle condizioni che consentono l’aborto terapeutico. E nella nuova sentenza si fa esplicito richiamo alla precedente, dato che, si legge, “quanto è divenuto lecito non può – per il principio di non contraddizione – essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante”. Nella sentenza di maggio si faceva infatti riferimento “al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro”. È quindi, spiegano i giudici, “in questi esatti termini e limiti” che va letta la nuova pronuncia di illegittimità.
Cosa ha detto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Toni decisamente più miti sono quelli della Corte di Strasburgo che con una recente sentenza (Corte Europea Diritti dell’Uomo, sez. Grande, sentenza 27/08/2015 n. 46470/11) ha affermato che il divieto di utilizzare gli embrioni per la ricerca scientifica, contenuto nella legge 40/2004, non viola i diritti umani, ritenendo tale divieto del tutto ragionevole.
La decisione nasce da una storia di grande dolore che vede protagonista Adele Parrillo, vedova di Stefano Rolla, rimasto ucciso nell’attentato di Nassiriya, la quale si era rivolta nel 2011 alla Corte Edu per poter donare i propri embrioni congelati ai fini della ricerca scientifica, pratica vietata dalla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita che vige in Italia.
Nel 2002 la coppia era ricorsa alla fecondazione in vitro. Ma dopo l’attentato del 2003 a Nassiriya, nel quale Rolla perse la vita, Adele non volle procedere con l’impianto degli embrioni, chiedendo, però, di poterli donare ai fini della ricerca scientifica “per contribuire a trovare trattamenti per malattie difficili da curare”. La legge italiana vieta, però, esperimenti su embrioni umani anche a questo scopo.
I giudici di Strasburgo hanno stabilito che l’articolo 13 della legge 40/2004, che vieta la sperimentazione sugli embrioni, non viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare di Adele Parrillo.
La Corte ha riconosciuto all’Italia un ampio margine di manovra su una questione così delicata su cui non esiste consenso a livello europeo. I giudici hanno inoltre affermato che non è sicuro che il compagno della Parrillo, morto a Nassiriya, avrebbe voluto donare gli embrioni alla scienza. Gli stessi giudici hanno ritenuto che il diritto alla proprietà invocato dalla Parrillo “non può applicarsi a questo caso, dato che gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall’articolo 1 protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”.
Insomma Grande Camera, a differenza dei nostri giudici, ritiene che nell’iter di approvazione della legge 40 il legislatore italiano ha bilanciato gli interessi in gioco: l’interesse dello Stato nel proteggere l’embrione e quello degli individui ad esercitare il diritto all’autodeterminazione. Pertanto, il divieto previsto dalla normativa italiana, in quanto necessario in una società democratica, non viola i diritti al rispetto della vita privata e di proprietà garantiti dalla CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell’uomo).