L’obiezione di coscienza del medico
Occorre ricordare che l’obiezione attua il principio della libertà di coscienza, e garantisce una libertà di opinione coerente con le azioni, laddove gli obblighi della legge incidono su radicate e profonde convinzioni della persona.
La nostra Costituzione non menziona espressamente il diritto all’obiezione di coscienza, ma lo stesso viene fatto rientrare nei diritti inviolabili dell’uomo previsti dall’art. 2 Cost., quali la libertà religiosa e di manifestazione del pensiero, ritenuti espressione della più generale libertà di coscienza.
Con la legge n. 194/1978 oltre a depenalizzare il reato di aborto il legislatore ha anche contemplato un’apposita norma sull’obiezione di coscienza del personale sanitario ed esercente attività ausiliarie.
L’obiezione esonera dal compimento “delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.
La particolare regolamentazione di questa obiezione nell’ambito medico trova la propria razionale giustificazione nel valore alla cui tutela essa presiede, cioè il valore della vita umana in sé e quello della professione medica, specificatamente finalizzata alla tutela del medesimo valore.
La questione della pillola del giorno dopo non è affatto fuori da questo ambito; considerato il suo effetto abortivo nel caso si sia verificato il concepimento, e comunque l’intento anch’esso abortivo con cui una donna decide di farsi prescrivere tale farmaco, non si capisce perché un medico obiettore debba essere costretto a somministrarlo, andando contro la sua morale, che ha professato fin dall’inizio della sua carriera.
Come è possibile che una disposizione di legge debba essere saltata utilizzando un vizioso giro di parole: trattandosi di un farmaco che potrebbe intervenire dopo che il concepimento è avvenuto procurando un aborto chimico, la sua prescrizione rientra di certo nell’obiezione di coscienza in caso di aborto. Senza dimenticare che sono ancora in fase di accertamento scientifico le conseguenze negative che possono verificarsi sul fisico della donna sottoposta a tale terapia, alla faccia della libertà di agire e del diritto alla salute!
Il Papa Benedetto XVI, nel Discorso ai farmacisti cattolici dell’ottobre 2007, ha affermato che “l’obiezione di coscienza è un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione permettendovi di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo le scelte chiaramente immorali, come per esempio l’aborto e l’eutanasia”.
Nella Dichiarazione finale della XIII Assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita viene espressamente indicato come “nel campo della prassi medica, una menzione specifica merita il caso della «contraccezione di emergenza» (in genere realizzata mediante ritrovati chimici), ricordando innanzitutto la responsabilità morale di coloro che ne rendono possibile l’uso ai vari livelli e l’esigenza di ricorrere all’obiezione di coscienza nella misura in cui i suoi effetti siano abortivi (antinidatori o contragestativi); va ribadito anche il dovere morale di fornire al pubblico un’informazione completa sui veri meccanismi d’azione ed effetti di tali ritrovati. Naturalmente, sussiste il dovere di opporre la stessa obiezione di coscienza di fronte ad ogni intervento medico o di ricerca che preveda la distruzione di vite umane”.
Inoltre non si deve dimenticare che l’articolo 13 del codice medico deontologico afferma chiaramente che “la prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico” e che “in nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo”. Tale norma va quindi a tutelare la professione medica, che inevitabilmente entra in contatto con l’etica; difatti il medico quando appone la sua propria firma va a suggellare la propria adesione scientifica ed etica alla prescrizione.
Ha scritto il prof. D’Agostino su Avvenire del 3 aprile 2008 “nessun medico è obbligato a prescrivere qualsiasi farmaco, per il quale sia necessaria una ricetta, qualora egli non ne ravvisi l’opportunità e l’utilità. Esiste una libertà di scienza, prima ancora che di coscienza, che ha un essenziale valore epistemologico e deontologico: il medico è un «alleato» del paziente e deve sempre cercare di operare per il suo bene, secondo le sue competenze professionali; non è e non deve mai diventare il cieco esecutore di una richiesta, di qualsiasi richiesta farmacologica il paziente possa avanzare”.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae affermava con forza che “rifiutarsi di partecipare a commettere un’ingiustizia è non solo un dovere morale, ma è anche un diritto umano basilare. Se così non fosse, la persona umana sarebbe costretta a compiere un’azione intrinsecamente incompatibile con la sua dignità e in tal modo la sua stessa libertà, il cui senso e fine autentici risiedono nell’orientamento al vero e al bene, ne sarebbe radicalmente compromessa. Si tratta, dunque, di un diritto essenziale che, proprio perché tale, dovrebbe essere previsto e protetto dalla stessa legge civile. In tal senso, la possibilità di rifiutarsi di partecipare alla fase consultiva, preparatoria ed esecutiva di simili atti contro la vita dovrebbe essere assicurata ai medici, agli operatori sanitari e ai responsabili delle istituzioni ospedaliere, delle cliniche e delle case di cura. Chi ricorre all’obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale”.
Con l’andare avanti così questa professione, tra le più nobili e missionarie, finirà per dimenticare il suo compito principale, cioè difendere la vita di ogni individuo, per sperimentare teorie sempre più evolute, ma spesso deleterie, sul corpo umano. Perdendo di vista il bene si perde di vista anche cosa sia la salute dell’uomo, definita nel codice deontologico come condizione di benessere fisico e psichico della persona; di certo la medicina non ha la soluzione ad ogni problema, ma ha a che fare con il bisogno più profondo dell’uomo, dell’anima e del corpo, e deve pertanto adoperarsi in scienza e coscienza. Perché solamente liberi da costrizione gli uomini possono, in modo adeguato alla loro natura, cercare la verità e viverla.