Le relazioni, la stessa modernità vista da tre sfaccettature diverse: i poteri (e anche i rischi) della scienza, il ritorno del sacro, le emergenze del pianeta. Un contributo per ridisegnare l’atlante di un’urgente «questione antropologica»
Ieri e oggi i lavori del Progetto culturale
Una nuova civiltà per domani
di Gianni Santamaria e di Mimmo Muolo – Dossier di Avvenire del 03 marzo 2007
Il matematico Boffi: «La razionalità non è soltanto tecnica»
Da un lato c’è il «pericolo d’una visione puramente strumentale delle scienze», al quale è connesso il rischio che la ricerca non sia libera, perché legata a interessi particolari, come quelli economici. Dall’altro vanno faticosamente ricercati «criteri di indirizzo» per le questioni delicate che la scienza va a toccare. Si è mossa tra questi due poli, uno teorico, l’altro etico, la relazione di Giandomenico Boffi, ordinario di Algebra all’Università di Chieti-Pescara, all’ottavo Forum del progetto culturale. Ogni modello scientifico, basato sulla «razionalità sperimentale e calcolatrice – ha esordito lo studioso – per quanto sia sofisticato e accuratamente validato» rappresenta sempre e comunque solo «un tentativo di comprensione» suscettibile di variazioni. Allora anche se «le applicazioni di tipo tecnico delle nostre scienze “funzionano”, non solo non è detto che le teorie scientifiche arrivino a dare una descrizione del cosmo come esso intimamente è, ma non è nemmeno ovvio che vadano progressivamente avvicinandosi a tale obiettivo». La conoscibilità dell’uomo e del mondo resta molto al di là e si aprono spazi per «ulteriori dimensioni della razionalità». Andrebbe, però, prima di tutto sgombrato il campo da una visione strumentale delle scienze. Ne va della libertà di ricerca che sarebbe «svilita». Ricerca libera, ha però precisato lo scienziato, «è cosa ben diversa dalla facoltà di sperimentazione senza vincoli talvolta reclamata, per lo più in riferimento alle scienze biomediche». Va considerato, poi, che la ricerca non nasce nel vuoto, ma «risponde a problemi aperti nella comunità scientifica, oppure a stimoli provenienti da altre discipline o dalla società». Esiste, insomma, una dimensione organizzativa e pragmatica della scienza che – visti i risvolti di carattere etico – chiama in causa un «sereno dialogo tra comunità scientifica e società circostante», il cui obiettivo deve essere «operare un difficile discernimento tra quello che non attiene all’esclusiva competenza degli addetti ai lavori e quello invece che gli attiene e che va sottratto agli incompetenti, ai demagoghi, ai propagandisti di affascinanti estrapolazioni ideologiche». Infine, sulla scorta delle parole di Benedetto XVI sul rapporto tra matematica e verità sul cosmo pronunciate al convegno di Verona, lo scienziato dei numeri ha ricordato come nel corso del Novecento è emersa la consapevolezza che «la matematica non è riducibile al mero calcolo». Tale considerazione, però, non viene pienamente colta da due correnti di pensiero: evoluzionisti e cognitivisti, i quali «sembrano dare alle proprie teorie un valore di verità assoluta che non riconosciamo a nessuno schema scientifico».
Il teologo Coda: «La Pasqua ha mutato la cultura»
La fede cristiana non è nemica dell’intelligenza. Al contrario essa «può persuasivamente e con stile invitante esibire oggi la sua nativa amicizia nei confronti dell’intelligenza e della libertà». Dunque un nuovo incontro tra fede e logos è possibile. Anzi auspicabile. Don Piero Coda immette nel dibattito dell’VIII Forum del Progetto culturale la prospettiva teologica.
Ma anche per questa via arriva alle stesse conclusioni degli altri relatori della mattinata. «La nube della non conoscenza è squarciata definitivamente: com’è avvenuto per il velo del tempio di Gerusalemme nell’atto stesso del morire sulla croce del Logos fatto carne». E quindi «il nostro tempo – fa notare il sacerdote – esige il coraggio delle grandi visioni che si alimentano dell’attualità sempre viva del Vangelo e che, proprio per questo, sanno intercettare le istanze che vengono dai segni dei tempi». Don Coda sviluppa il suo ragionamento a partire dall’evento centrale del cristianesimo: la Pasqua, definita da Benedetto XVI a Verona come «la più grande mutazione mai accaduta, il salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso». Non si tratta solo di una «bella declamazione spirituale», fa notare il relatore, ma di «un processo culturale che con l’apparire sullo scenario della storia della fede in Gesù chiede sempre di nuovo l’indispensabile e creativo contributo del nostro pensare e agire».
Su questo terreno, dunque, può avvenire l’incontro. «La razionalità scientifica moderna – prosegue Coda – ritaglia per sé uno sguardo sulla realtà e un metodo di osservazione della stessa che non può pretendere all’assolutezza e alla totalità». Essa invoca piuttosto «l’inserzione di quella razionalità “più ampia” che sa disincagliarsi da un’astratta separazione contrappositiva tra sapere della fede e sapere delle scienze». E in questo senso si può alimentare «un autentico dialogo e una libera cooperazione tra le discipline», che tali sono perché «illuminate da quel Logos da cui scaturisce e verso cui tende ogni autentica ricerca della verità».
Questa posizione dialogante costituisce oltre tutto, a parere di don Coda, non certo «un passo indietro rispetto al Vaticano II», ma è anzi «un coerente e necessario passo in avanti». Se, infatti, il Concilio «ha orientato la Chiesa cattolica a imboccare la strada del dia-logos, l’invito del Papa ci orienta a tirare le estreme conseguenze della strategia conciliare». Una strategia di cui le dinamiche culturali sempre più complesse «rendono evidente l’ineludibilità».
Lo storico Riccardi: «La vera sfida? È coniugare i saperi»
Prendete un grande planisfero. Mettete al posto dei colori che indicano nazioni, confini o deserti e montagne, il modo con cui ogni continente o Stato guarda al suo futuro e otterrete un nuovo tipo di atlante geopolitico. Quello della speranza presente o mancante.
È l’operazione che ieri mattina lo storico Andrea Riccardi ha compiuto con la sua relazione all’VIII Forum del Progetto culturale. «Per l’India e la Cina – ha detto il fondatore di Sant’Egidio – il futuro vuol dire l’espansione economica e politica su un modello abbastanza classico». Gli Stati Uniti «si sono lanciati in un confronto geopolitico e militare».
Per il mondo islamico, invece, «il futuro è discusso tra la prospettiva bellicosa e fondamentalista e quella di un’occidentalizzazione delle società». E ancora: «Futuro per il mondo latinoamericano vuol dire tante democrazie che trovano figure carismatiche per rappresentare la voglia del domani di larghi strati della popolazione». Infine tra i più poveri (leggi l’Africa), «dove il futuro manca c’è l’emigrazione». Ma la negazione del futuro, «in un mondo globalizzato dove tutto si vede e tanti si collegano in rete tra loro, è un terreno pericoloso, la cui carica esplosiva non siamo in grado di individuare, ma solo di segnalare».
E l’Europa? E l’Italia? In questo ipotetico atlante dell’investimento sul futuro quale posto occupano? Secondo Riccardi «si avverte in tutta Europa la mancanza di una proiezione sul futuro che sia investimento, orientamento delle energie migliori, conquista del domani. La sconfitta della Carta costituzionale europea è stata non tanto della Chiesa, quanto di un’Europa che si propone senza pathos e senza radici». Ma un ruolo importante, per lo studioso, lo può svolgere il cattolicesimo occidentale coniugando tradizione e futuro, «i due fronti della battaglia per il domani». Un’operazione cominciata con Giovanni Paolo II e che prosegue con Benedetto XVI.
Il cattolicesimo italiano, ha aggiunto Riccardi, «mi sembra che abbia lavorato (è la storia del progetto culturale) sul filo di una riflessione sulla cultura che mette insieme i diversi saperi», ma che fa i conti con «la realtà di una fede di popolo». Cultura, ha concluso lo storico, «vuol dire coraggio di discutere a fronte dell’innovazione». E in definitiva è questo il contributo più importante che viene dal mondo cattolico italiano. «Pensare il futuro non in un mondo dalle civiltà appiattite, ma come una civiltà del vivere insieme, dell’integrazione tra la tradizione e le sfide del domani». Insomma ridisegnare quel famoso atlante.