L’aggressione al Presidente del Consiglio
Domenica 13 dicembre dopo aver terminato un comizio pubblico ed essere sceso dal palco, mentre stava salutando alcuni dei simpatizzanti dando loro la mano, il premier è stato colpito da un oggetto, in seguito identificato con la miniatura del Duomo.
Il Presidente del consiglio perdeva sangue dal naso e dalla bocca ma non ha avuto segni di cedimento fisico: dopo essere stato disteso in macchina ha voluto uscire dall’auto per salutare la folla e per capire immediatamente la causa di un gesto così violento nei suoi confronti.
Berlusconi è stato, poi, portato al pronto soccorso dell’ospedale San Raffaele. È stato medicato e di seguito ricoverato per ulteriori accertamenti.
Il professor Alberto Zangrillo, medico personale del presidente del Consiglio, ha disposto 15 giorni di prognosi. Secondo quanto riferito dal professor Zangrillo, il colpo inferto dall’aggressore a Berlusconi ha provocato un «trauma contusivo importante al massiccio facciale». Questo ha provocato una ferita interna ed esterna al labbro superiore e la frattura di due denti incisivi. Vista la ferita, il medico ha ritenuto di dover sottoporre il premier a una Tac dalla quale è emersa una piccola frattura al setto nasale. Di qui la decisione di trattenere «in via cautelativa» il premier per alcuni giorni in ospedale e di disporre 15 giorni di prognosi.
L’aggressore è stato immediatamente fermato dalla polizia. Si chiama Massimo Tartaglia ed ha 42 anni. Dopo il fatto è stato portato via dalla polizia, che lo ha sottratto alla rabbia della gente. Secondo fonti investigative l’uomo sarebbe in cura da 10 anni per problemi mentali al Policlinico di Milano. Nella stessa serata Tartaglia è stato formalmente arrestato con l’accusa di lesioni pluriaggravate dalla qualifica di pubblico ufficiale della parte offesa e dalla premeditazione. L’uomo infatti aveva in tasca un altro souvenir, un piccolo crocifisso, ma soprattutto una bomboletta di spray urticante al peperoncino.
Oltre a commenti spiacevoli e preoccupanti provenienti da una parte dell’opposizione di governo, molti sono stati i messaggi di solidarietà, ma anche le necessarie prese di posizione.
Infatti il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha detto, nel corso di un’informativa alla Camera, che l’aggressione a Milano contro il premier è il frutto di “una pericolosa spirale emulativa” e ha annunciato anche che proporrà al Consiglio dei ministri “misure urgenti per garantire ai cittadini e a chi ha compiti istituzionali di poter svolgere la propria attività in piena sicurezza”.
Tra le misure, ha spiegato Maroni, anche l’intervento per oscurare siti o gruppi di utenti di social network che istigano o inneggiano alla violenza, come accaduto dopo l’aggressione al Premier.
Nemmeno un mese prima del grave accadimento, il card. Bagnasco, in maniera quasi premonitoria, nella Prolusione del 9 novembre, affermava: “Un’ultima parola vorrei riservarla al clima politico e mediatico in cui si trova, per la verità non da oggi, il nostro Paese. Si registra infatti un’aria di sistematica e pregiudiziale contrapposizione, che talora induce a ipotizzare quasi degli atteggiamenti di odio: se così fosse, sarebbe oltremodo ingiusto in sé e pericoloso per la Nazione. In ogni caso, si impone una decisa e radicale svolta tanto nelle parole quanto nei comportamenti, diversamente verrebbe prima o poi ad inquinarsi il sentire comune, con conseguenze inevitabili in termini di sfiducia e disaffezione verso la cosa pubblica, e un progressivo ritiro dei cittadini nel proprio particolare. La gente, con i suoi problemi, ha il diritto di cogliersi al primo posto rispetto alle preoccupazioni rimbalzanti dal dibattito sia pubblico che privato. È necessario e urgente svelenire il clima generale, perché da una conflittualità sistematica, perseguita con ogni mezzo e a qualunque costo, si passi subito ad un confronto leale per il bene dei cittadini e del Paese intero. Davvero ci piacerebbe che, nel riconoscimento di una sana − per quanto vivace − dialettica, inseparabile dal costume democratico, si arrivasse ad una sorta di disarmo rispetto alla prassi più bellicosa, che è anche la più inconcludente. Ci rendiamo conto che il compito esige sì da parte di ciascuno un supplemento di buona volontà come di onestà intellettuale, ma anche il superamento di matrici ideologiche che sembrano talora rigurgitare da un passato che non vuole realmente passare”.
Dopo l’attentato del 13 dicembre la Conferenza episcopale italiana ha continuato sulla stessa linea dicendo che “la violenta aggressione subita dal presidente del Consiglio costituisce un episodio di singolare ed esecrabile gravità. Mentre esprimiamo sincera vicinanza al presidente Berlusconi auspichiamo per il nostro Paese un clima culturale più sereno e rispettoso al fine di realizzare nella coesione sociale e nella responsabilità politica il bene di tutti e di ciascuno”.