LA FRANZONI COLPEVOLE. MA SOLO UN PO’
Brutta sentenza, brutto processo, pessima indagine, storia orrenda. Annamaria Franzoni, come previsto, è stata condannata alla Corte d’assise d’appello a 16 anni, 14 di meno rispetto al grado. Devo precisare. Avevo in largo anticipo detto in tivù e scritto su Libero che l’imputata non aveva scampo e che le sarebbero stati inflitti 30 anni. Quindi ho sbagliato, per fortuna di Annamaria. Ma non potevo immaginare che a parità di andamento processuale, l’appello, avendola giudicata colpevole, riducesse la durata della reclusione con la concessione delle cosiddette attenuanti generiche.
Non è il caso di addentrarsi in sottigliezze giuridiche. Non mi competono e neppure mi interessano. Basta il buonsenso per capire cosa è successo nella testa dei signori della corte. Questo processo indiziario non ha diviso l’opinione pubblica in colpevolisti e innocentisti. Tutti pensavano e pensano che l’assassina del piccolo di Cogne sia la madre. Punto e chiuso. Il fatto che non vi siano prove e che gli indizi siano labili non ha influito sul comune sentire. È stata lei, è stata lei, è stata lei. Chi altrimenti? La gente ragiona così e non ascolta chi la contraddice. Ha bisogno di certezze e se non le trova nelle prove, perché non ci sono, le trova in se stessa e le considera valide, inoppugnabili. La convinzione intima, l’intuito, la sensazione. Il martellamento mediatico paradossalmente, anziché incrementare il dubbio, lo ha cancellato. È stata Annamaria. Guarda come si è comportata, osserva la faccia, pensa alle stupidaggini che ha detto, pensa alla sua condotta processuale.
Il clima intorno è andato via via peggiorando per la Franzoni, e patetici sono stati i suoi tentativi, e quelli della
difesa, di indurre gli italiani a riflettere sulla possibilità che il bimbo sia stato ucciso da altri. E il clima negativo ha ovviamente influenzato anche i giudici. Non fosse così, la sentenza sarebbe stata di assoluzione secondo la norma: in dubbio, pro reo. Ma il dubbio non è venuto a nessuno.
Con una forzatura ho sostenuto che Annamaria sarebbe stata condannata per antipatia manifesta, irreversibile. Dopo il verdetto ne sono ancora più convinto. La circostanza che la pena sia stata ridotta da 30 a 16 anni è il segnale che nelle coscienze dei giudici si è mosso un meccanismo recondito, e non consapevole, di pietà configgente con l’esigenza di punire, soddisfacendo la voglia collettiva di dare un volto definitivo all’assassino, insomma di avere un colpevole probabile e di chiuderlo in cella, in modo che l’ansia sociale di giustizia sia placata.
Quel rimasuglio di pietà è stato il lievito delle attenuanti generiche che hanno mitigato il castigo, senza nulla togliere alla sicurezza che Annamaria abbia massacrato suo figlio.
Chissenefrega del movente. Il piccolo piangeva e rompeva le scatole, più che sufficiente a trasformare una mamma in belva. Già, un raptus. Come se una donna colta da raptus di follia, invece di colpire subito, prima di farlo sia talmente lucida da indossare il pigiama, ma non abbastanza lucida da occultare l’indumento. Però, chissà perché, diventa lucidissima quando si tratta di nascondere l’arma del delitto. E la nasconde talmente bene da renderla irrintracciabile. Basterebbe questo a demolire l’impianto accusatorio. Ma chi ha sostenuto tesi del genere ha infastidito i manovratori, e suoi sforzi si sono rivelati dannosi per l’imputata, accrescendo la sua antipatia conclamata. Né ha scosso la fermezza dei colpevolisti il fatto che la Franzoni, se davvero ha ammazzato, è un mostro di abilità criminale. In pochi minuti avrebbe: 1) dato la morte al bimbo; 2) indossato e tolto il pigiama; 3) impedito alla vittima di urlare, sennò Samuele sarebbe stato udito dal fratello che era lì, ad alcuni metri di distanza; 4) lavata alla perfezione, supponendo che nel massacro si fosse macchiata di sangue; 5) con indifferenza avrebbe preso per mano l’altro figlio, portandolo a piedi alla fermata del bus; 6) chiacchierato amabilmente con l’autista; 7) celato con diabolica efficacia l’arma del delitto; 8) chiamato i soccorsi simulando disperazione.
Ci sarebbe dell’altro, ma sorvolo. Ormai il disastro è stato commesso. Il popolo dei colpevolisti è soddisfatto. La mancanza di prove è un dettaglio pedantesco. Il garantismo è andato a farsi benedire. Non rimane che confidare nella Cassazione, la quale non potrà evitare di riflettere su un dato: se Annamaria è un’assassina come l’ha descritta il Procuratore generale, meritava 30 anni; e nessuna attenuante. Quale attenuante? Invece l’ha avuta.
Non sarà stato frutto di una tardiva resipiscenza? Insomma l’imputato, è colpevole, ma solo un po’.