È festa la vita che incontra Dio
Festa è una parola antica probabilmente come l’umanità. Un atteggiamento naturale e spontaneo di tutte le epoche e tutte le latitudini. Eppure il paradosso della società contemporanea è che, proprio mentre esalta la dimensione ludica della vita, non sa più fare festa. Nel senso vero della parola che non è, come sottolinea il liturgista don Paolo Tomatis, «sinonimo di tempo libero, ma piuttosto di dono». Quel dono che si ritrova invece nell’Eucaristia. Teatro comunale di Osimo, mattinata di lavori dedicata al tema del terzo giorno del Congresso eucaristico. A Fabriano si parla del lavoro, qui invece si affronta proprio la questione festa.
Ed è il direttore dell’Ufficio liturgico dell’arcidiocesi di Torino a guidare la riflessione, dopo l’introduzione di monsignor Quirico Capitani, che fa gli onori di casa, e di Giovanni Martinelli, presidente dell’Associazione marchigiana rievocazioni storiche, che modera il dibattito. Tomatis parte da una domanda. «Davvero la festa è essenziale per le persone e le comunità? O non vi sono cose più importanti a cui pensare, specie in un tempo di crisi in cui non c’è nulla da festeggiare?». Vangelo alla mano, il liturgista ricorda che Gesù «non pone la festa a lato della vita, né al suo termine, ma nel cuore dell’esperienza di incontro con Dio». E la prova è la parabola del Figliol prodigo, «segnata da una profonda sete di vita, che si esprime proprio nella ricerca della festa». Nei due figli, dice il relatore, «possiamo riconoscere la doppia tentazione che insidia la nostra cultura occidentale: da una parte una cultura del sentire, che possiede i sensi della festa, ma ne ha smarrito il senso; dall’altra, una cultura del ‘già sentito’, che possiede il senso, ma non sa più assaporarlo nei sensi».
In altri termini, spiega Tomatis, c’è da un lato «la cultura estetica di una società che ha massificato e mercificato la festa (si pensi ai centri commerciali, autentici luoghi di pellegrinaggio scientificamente progettati per sedurre i sensi), mentre dalla parte opposta la cultura della fede cristiana rischia di smarrire l’antica capacità di fare festa, sotto i colpi della secolarizzazione, della rottura di una tradizione e della mancata educazione, così che le nostre Messe e le nostre domeniche sono talvolta troppo anestetiche e mute per esprimere la gioia della Risurrezione». Quel è allora la vera festa? «È quella che tocca i sensi e li fa incontrare realmente con il senso», risponde il direttore dell’Ufficio liturgico di Torino. In tal modo «dà voce nei bisogni del corpo ai desideri dello spirito». Del resto tutto ciò accade nella celebrazione eucaristica. «Lo Spirito accende di luce i sensi, in una progressione che va dal vedere all’ascoltare, sino al culmine del contatto più intimo, che si dà attraverso l’esperienza del gusto».
E così la Messa «integra i sensi facendoli diventare spirituali, cioè capaci di vedere, gustare, incontrare, sentire Dio in ogni cosa». In sostanza «dobbiamo custodire la domenica e la domenica custodirà noi e le nostre parrocchie», è la conclusione di Tomatis, che cita un documento della Cei del 2004: ‘Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia’. E dunque è «evidente l’urgenza di una nuova iniziazione ai riti e ai simboli che danno forma alla festa cristiana: una iniziazione che deve partire da coloro che sono più coinvolti nella vita della comunità, per farsi testimonianza e profezia per i più lontani e per chi si riavvicina alla fede». Il Congresso eucaristico serve anche a questo, aveva ricordato all’inizio della giornata (conclusa poi con alcuni giochi dei più piccoli nelle piazze di Osimo) padre Giancarlo Bruni.
Nella lectio divina all’interno delle lodi mattutine, presiedute dal vescovo di Senigallia, Giuseppe Orlandoni, il religioso aveva invitato a «risvegliare la coscienza ecclesiale al pellegrinaggio verso il suo centro, una mensa in cui il visto, l’ascoltato e il mangiato ci muove verso altri uomini e donne desiderosi di sapere che abitare altrimenti la terra è possibile».