Cosa rimane della Legge 40 e della volontà popolare?
A questo punto è lecito domandarsi che cosa rimane ormai della legge 40, la norma sulla procreazione medicalmente assistita, approvata dal parlamento italiano nel 2004 e confermata da un referendum nel 2005 che registrò la più alta astensione mai avvenuta in Italia. Difatti non si può dimenticare, come sembra abbia fatto la Corte Costituzionale, che proprio quel divieto di cosiddetta fecondazione eterologa non era soltanto contenuto nella legge 40 ma era stato investito dai quesiti referendari abrogativi del giugno 2005 e, tra questi, proprio quello sull’eterologa aveva ottenuto il minor numero di risposte positive.
Forse tale dato dirà che la volontà popolare non approva questo tipo di tecnica di fecondazione, che l’uomo ha a cuore, almeno come tensione, la propria natura e che non può desiderare un intervento della scienza così invasivo e manipolativo?
Inoltre con questa sentenza la Corte Costituzionale ha introdotto anche in Italia la figura del “padre biologico anonimo” e ha messo nuovamente in mora la sovranità popolare. Insomma questa sentenza è un ennesimo attacco alla democrazia rappresentativa. Difatti, perché la Consulta non ha sancito per tempo la “illegittimità” di una legge che conteneva il divieto di fecondazione eterologa? Come è possibile che con sentenza del 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale cancelli di fatto l’esito di un referendum popolare, dopo che con sentenza del 13 gennaio del 2005 la stessa Corte ne aveva sentenziato addirittura l’ammissibilità?
Per non parlare poi del fatto che prima la Corte Costituzionale dà il via libera a un referendum voluto dai radicali e dalla sinistra per abrogare una legge non condivisa da una parte della politica, poi, dieci anni dopo, la medesima Corte cancella l’esito del referendum a cui essa stessa aveva dato il nulla osta, eliminando per sentenza l’espressione più democratica, diretta e cristallina della volontà popolare.
Il via libera alla procreazione assistita eterologa non è stato legittimato da un percorso rappresentativo ma soltanto dall’opinione di un pugno di giudici. Otto giudici, contro sette, senza discussione pubblica, hanno smantellato un divieto varato dal Parlamento e confermato da un referendum popolare.
Forse l’intervento del Parlamento a cambiare, correggere o a cancellare una legge avrebbe tutelato maggiormente i cittadini, che comunque si erano già espressi sul divieto di fecondazione eterologa.