Cosa fare?
“Cosa fare dinanzi a simili rivolgimenti?”, si domanda il card. Bagnasco sempre nella prolusione al Consiglio Permanente della Cei del 28 marzo scorso.
“Se l’interrogativo trascende per buona parte le nostre competenze, siamo però, oltre che Pastori, anche cittadini di questa Italia che si distende come una propaggine singolare al centro del Mediterraneo, tornato ad essere nevralgico per equilibri pacifici nel mondo. Tempo addietro ci trovammo ad osservare come la lingua di terra chiamata Italia sia naturalmente disposta a ponte verso altri continenti e altri popoli. Quasi che neppure i particolari in essa siano a caso e tutto concorra a determinare una vocazione specifica di questa terra e della nazione che in essa risiede. Ed è ciò che oggi torniamo a dire ai nostri concittadini: non ci è consentito di disinteressarci di quel che avviene fuori di noi, nelle coste non lontane dalle nostre. È un’illusione pensare di vivere in pace, tenendo a distanza popoli giovani, stremati dalle privazioni, e in cerca di un soddisfacimento legittimo per la propria fame…”
Di certo non si tratta solo di una questione italiana ma necessariamente coinvolge l’intera Europa, che di fronte a questa ondata di immigrati disperati, che chiedono asilo, oltre ad aiuti economici, è chiamata a fornire una risposta concreta con politiche di vera cooperazione, che sole possono convincere le popolazioni extracomunitarie a restare nella loro terra, rendendola produttiva. Sul punto Bagnasco ribadisce che “l’interdipendenza è condizione ormai fuori discussione ed essa si fa ancora più cruciale e ineluttabile in forza delle vicinanze geografiche. Che però, nel nostro caso, riguardano l’Italia alla stessa stregua con cui riguardano l’Europa, di cui siamo parte: i confini costieri della prima infatti coincidono con i confini meridionali della seconda. L’emergenza dunque è comunitaria, e va affrontata nell’ottica di destinare risorse per uno sforzo di sviluppo straordinario, che non potrà non raccogliere poi benefici in termini di sicurezza complessiva”.
Il card. Bagnasco non ha inoltre fatto mancare la sua vicinanza fisica, recandosi il 18 maggio proprio a Lampedusa per ringraziare i lampedusani, personalmente e a nome dei vescovi, e dunque della Chiesa italiana. Nella sua omelia li ha esortati a sentire vicina la Chiesa, accanto a loro nella “missione di essere prossima alla gente per condividere le vicende della vita e lì portare Gesù, il salvatore, con la sua grazie redentrice e la sua speranza”.
Il Cardinale non ha poi mancato di esprimere la sua gratitudine: “Anche per questo scopo sono venuto: per incrociare il vostro sguardo e dirvi grazie per l’esempio di fraternità cristiana. L’accoglienza semplice e cordiale, fatta di gesti concreti secondo le vostre possibilità, è di esempio a tutti, specialmente a quanti parlano molto e fanno poco. La Santa Vergine, che qui venerate secondo un’antichissima tradizione, nell’umile grotta di Betlemme ha avvolto il piccolo Gesù in fasce, cioè con quello che c’era, nell’emergenza del momento e della notte. Ecco la concretezza della risposta di fronte all’urto degli eventi: risposta immediata che necessariamente si combina con interventi più articolati, e che richiede prospettive più ampie e risolutive”.
Infine ma non da ultimo Bagnasco come ciò che in questi ultimi mesi sta accadendo in quel roccioso lembo di terra che dall’Africa apre all’Europa sia un vero e proprio appuntamento con la storia. “Tanto più in questo momento ci si deve accorgere e riconoscere che i confini degli Stati sono i confini dell’Europa e che ciò che accade in un punto ha riflessi su tutti. L’Europa ha una grande opportunità di crescita sulla via della vera unità, che è ben più profonda della via dell’unificazione. Questa tocca le giuste e necessarie procedure, quella plasma l’anima dei popoli, fa sentire provenienti da radici comuni, partecipi e protagonisti di un solo destino. Essere davanti a situazioni umane gravi, come quella di tante persone che si allontanano dai propri Paesi alla ricerca onesta e rispettosa di un domani migliore per sé e per le proprie famiglie, è un appuntamento al quale la storia chiama l’Europa per misurare se stessa, per verificare le proprie intenzioni, per costruire il suo volto nel mondo. A quanti sono protagonisti di un doloroso esodo, diciamo il nostro saluto fraterno, con l’augurio di una convivenza serena, ordinata e fruttuosa per tutti”.
Da cristiani, da uomini non possiamo non sentirci provocati e chiamati in gioco in prima persona, nella preghiera e nell’opera, ciascuno secondo la propria possibilità.