Meditazioni del 20 ottobre 2008
Lasciamoci introdurre alla preghiera di questa sera da quanto il Santo Padre ha detto ieri, in occasione del pellegrinaggio che ha vissuto al Santuario di Pompei:
“Il Rosario è preghiera contemplativa accessibile a tutti: grandi e piccoli, laici e chierici, colti e poco istruiti. È vincolo spirituale con Maria per rimanere uniti a Gesù, per conformarsi a Lui, assimilarne i sentimenti e comportarsi come Lui si è comportato. Il Rosario è “arma” spirituale nella lotta contro il male, contro ogni violenza, per la pace nei cuori, nelle famiglie, nella società e nel mondo.
Questa popolare preghiera mariana è un mezzo spirituale prezioso per crescere nell’intimità con Gesù, e per imparare, alla scuola della Vergine Santa, a compiere sempre la divina volontà. È contemplazione dei misteri di Cristo in spirituale unione con Maria.
Ma per essere apostoli del Rosario, occorre fare esperienza in prima persona della bellezza e della profondità di questa preghiera, semplice ed accessibile a tutti. È necessario anzitutto lasciarsi condurre per mano dalla Vergine Maria a contemplare il volto di Cristo: volto gioioso, luminoso, doloroso e glorioso. Chi, come Maria e insieme con Lei, custodisce e medita assiduamente i misteri di Gesù, assimila sempre più i suoi sentimenti e si conforma a Lui. Mi piace, al riguardo, citare una bella considerazione del beato Bartolo Longo: “Come due amici – egli scrive –, praticando frequentemente insieme, sogliono conformarsi anche nei costumi, così noi, conversando familiarmente con Gesù e la Vergine, nel meditare i Misteri del Rosario, e formando insieme una medesima vita con la Comunione, possiamo diventare, per quanto ne sia capace la nostra bassezza, simili ad essi, ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto.
Il Rosario è scuola di contemplazione e di silenzio. A prima vista, potrebbe sembrare una preghiera che accumula parole, difficilmente quindi conciliabile con il silenzio che viene giustamente raccomandato per la meditazione e la contemplazione. In realtà, questa cadenzata ripetizione dell’Ave Maria non turba il silenzio interiore, anzi, lo richiede e lo alimenta. Analogamente a quanto avviene per i Salmi quando si prega la Liturgia delle Ore, il silenzio affiora attraverso le parole e le frasi, non come un vuoto, ma come una presenza di senso ultimo che trascende le parole stesse e insieme con esse parla al cuore. Così, recitando le Ave Maria occorre fare attenzione a che le nostre voci non “coprano” quella di Dio, il quale parla sempre attraverso il silenzio, come “il sussurro di una brezza leggera” (1 Re 19,12). Quanto è importante allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria! Anche quando viene pregato, come oggi, da grandi assemblee, è necessario che si percepisca il Rosario come preghiera contemplativa, e questo non può avvenire se manca un clima di silenzio interiore (Benedetto XVI – Pompei 2008).
Invocazione allo Spirito Santo
Affidiamo alla Madonna Nicolino, le intenzioni del suo cuore e in particolare il nostro XVIII Convegno.
Nel primo mistero della luce contempliamo il battesimo di Gesù al fiume Giordano
“In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni”… Il fatto veramente nuovo è che Egli – Gesù – vuole farsi battezzare, che entra nella grigia moltitudine dei peccatori in attesa sulla riva del Giordano. Del battesimo faceva parte la confessione dei peccati. Esso stesso era una confessione delle proprie colpe e il tentativo di deporre una vecchia vita mal spesa per riceverne una nuova. Gesù poteva farlo? Come poteva confessare dei peccati? Come staccarsi dalla vita precedente per una nuova? È una domanda che i cristiani si dovettero porre… Gesù si è preso sulle spalle il peso della colpa dell’intera umanità; lo portò con sé nel Giordano. Dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, p 36-38).
Nel secondo mistero della luce contempliamo il miracolo di Gesù alle nozze di Cana
Nel racconto evangelico delle nozze di Cana l’evangelista Giovanni mette in luce simbolicamente che Gesù è lo sposo d’Israele, del nuovo Israele che siamo noi tutti nella fede, lo sposo venuto a portare la grazia della nuova Alleanza, rappresentata dal “vino buono”. Al tempo stesso, il Vangelo dà risalto anche al ruolo di Maria, che viene detta all’inizio “la madre di Gesù”, ma che poi il Figlio stesso chiama “donna” – e questo ha un significato molto profondo: implica infatti che Gesù, a nostra meraviglia, antepone alla parentela il legame spirituale, secondo il quale Maria impersona appunto la sposa amata del Signore, cioè il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana. Il simbolo del vino, unito a quello del banchetto, ripropone il tema della gioia e della festa. Inoltre il vino, come le altre immagini bibliche della vigna e della vite, allude metaforicamente all’amore: Dio è il vignaiolo, Israele è la vigna, una vigna che troverà la sua realizzazione perfetta in Cristo, del quale noi siamo i tralci; e il vino è il frutto, cioè l’amore, perché proprio l’amore è ciò che Dio si attende dai suoi figli. E preghiamo il Signore, affinché anche la nostra vita e il nostro cuore portino questo frutto dell’amore e rinnovino così la terra.
Nel terzo mistero della luce contempliamo Gesù che annuncia la venuta del Regno di Dio e invita alla conversione
La presenza del Signore è fonte di gioia, perché, dove c’è Lui, il male è vinto e trionfano la vita e la pace. Vorrei sottolineare, in particolare, la stupenda espressione di Sofonia, che rivolgendosi a Gerusalemme dice: il Signore “ti rinnoverà con il suo amore” (3,17). Sì, l’amore di Dio ha questo potere: di rinnovare ogni cosa, a partire dal cuore umano, che è il suo capolavoro e dove lo Spirito Santo opera al meglio la sua azione trasformatrice. Con la sua grazia, Dio rinnova il cuore dell’uomo perdonando il suo peccato, lo riconcilia ed infonde in lui lo slancio per il bene. E così apriamo in quest’ora anche il nostro cuore a questo amore rinnovatore dell’uomo e di tutte le cose.
Nel quarto mistero della luce contempliamo la trasfigurazione di Gesù
“Si trasfigurò davanti a loro” dice semplicemente Marco e, con un po’ di goffaggine, quasi balbettando dinanzi al mistero aggiunse: “Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio della terra potrebbe renderle così bianche”. Matteo dispone parole già più impegnative: “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”. Luca è l’unico ad aver indicato già in precedenza lo scopo della salita: “Salì sul monte a pregare”, e da lì spiega poi l’avvenimento di cui i tre discepoli diventano testimoni: “E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. La trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce. Ciò che Egli è nel suo intimo e ciò che Pietro aveva cercato di dire nella sua confessione – si rende percepibile in questo momento anche ai sensi: l’essere di Gesù nella luce di Dio, il suo proprio essere luce come Figlio (Ibi, p357).
Nel quinto mistero della luce contempliamo Gesù che istituisce l’Eucarestia
Come possiamo “cibarci” di Dio, vivere di Lui, affinché Egli divenga il nostro pane?… Dio diventa “pane” per noi innanzitutto nell’incarnazione del Logos; il Verbo si fa carne. Il Logos diviene uno di noi ed entra così nella nostra dimensione, in ciò che è a noi accessibile. Ma oltre l’incarnazione del Verbo è necessario ancora un altro passo, che Gesù menziona nelle parole conclusive del suo discorso: la sua carne è vita “per” il mondo. Con ciò si allude, al di là dell’atto dell’incarnazione, allo scopo intrinseco e alla realizzazione ultima di essa: il dono che Gesù fa di sé fino alla morte e al mistero della croce (Ibi, p 312).