Meditazioni 8 marzo 2010
“O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia. A te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua”. “ Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto. Il tuo volto io cerco, o Signore. Non nascondermi il tuo volto”. In queste struggenti parole del salmo 62 e del salmo 26 ritroviamo tutto ciò che forma l’assoluto desiderio dell’uomo, che qualifica la fondamentale attesa della vita di ogni uomo. Domandiamo di essere qui e di accoglierci nell’ineludibile e imperiosa sollecitudine della realtà di queste parole. Mendicando che la nostra vita le possa sinceramente risorprendere vive e presenti (Nicolino Pompei, Atti del Convegno Fides Vita 2008).
INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO
O Maria, affidiamo a Te particolarmente la nostra Compagnia e Nicolino, raccomandando alla tua materna intercessione le intenzioni che porta nel suo cuore.
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nel Getsemani
La dolorosa passione del Signore Gesù non può non muovere a pietà anche i cuori più duri, poiché costituisce l’apice della rivelazione dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Osserva san Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). È per amore nostro che Cristo muore in croce!… Cosa sarebbe l’uomo senza Cristo? Osserva sant’Agostino: “Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato” (Benedetto XVI – Via Crucis 2009).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Fermiamoci questa sera a contemplare il Suo volto sfigurato: è il volto dell’Uomo dei dolori, che si è fatto carico di tutte le nostre angosce mortali. Il suo volto si riflette in quello di ogni persona umiliata ed offesa, ammalata e sofferente, sola, abbandonata e disprezzata. Versando il suo sangue, Egli ci ha riscattati dalla schiavitù della morte, ha spezzato la solitudine delle nostre lacrime, è entrato in ogni nostra pena ed in ogni nostro affanno (Benedetto XVI – Via Crucis 2008).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
I nostri sguardi spesso distratti da dispersivi ed effimeri interessi terreni, oggi volgiamoli verso Cristo; fermiamoci a contemplare la sua Croce. La Croce è sorgente di vita immortale, è scuola di giustizia e di pace, è patrimonio universale di perdono e di misericordia; è prova permanente di un amore oblativo e infinito che ha spinto Dio a farsi uomo vulnerabile come noi sino a morire crocifisso. Le sue braccia inchiodate si aprono per ciascun essere umano e ci invitano ad accostarci a Lui certi che ci accoglie e ci stringe in un abbraccio di infinita tenerezza: “Quando sarò elevato da terra, – aveva detto – attirerò tutti a me” (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario portando la croce
Lasciamo che il suo sacrifico sulla Croce ci interpelli; permettiamo a Lui di porre in crisi le nostre umane certezze; apriamogli il cuore: Gesù è la Verità che ci rende liberi di amare. Non temiamo! Morendo il Signore ha salvato i peccatori, cioè tutti noi. Scrive l’apostolo Pietro: Gesù “portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Questa è la verità del Venerdì Santo: sulla croce il Redentore ci ha restituito la dignità che ci appartiene, ci ha resi figli adottivi di Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Restiamo dunque in adorazione davanti alla Croce (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Il centurione, che si trovava di fronte a lui avendolo visto spirare in quel modo disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39). Non può non sorprenderci la professione di fede di questo soldato romano, che aveva assistito al succedersi delle varie fasi della crocifissione… Questo ufficiale della truppa romana, che aveva assistito all’esecuzione di uno dei tanti condannati alla pena capitale, seppe riconoscere in quell’Uomo crocifisso il Figlio di Dio, spirato nel più umiliante abbandono. La sua fine ignominiosa avrebbe dovuto segnare il trionfo definitivo dell’odio e della morte sull’amore e sulla vita. Ma così non fu! Sul Golgota si ergeva la Croce da cui pendeva un uomo ormai morto, ma quell’Uomo era il “Figlio di Dio”, come ebbe a confessare il centurione – “vedendolo morire così”, precisa l’evangelista (Benedetto XVI – Via Crucis 2009).