Meditazioni 7 marzo 2016
“Quello che noi abbiamo di più caro nel Cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità” […] Cosa possiamo avere di più caro se non Colui in cui consiste tutta la pienezza della divinità e quinti tutta la nostra pienezza? Eppure è proprio questa domanda che ora deve trovarci aperti e disponibili ad un serio, leale e profondo lavoro di verifica. La domanda stessa, prima ancora che la risposta che sicuramente daremmo. […] Il primo aiuto che desidero offrirvi – un aiuto che sostenga in ciascun di voi questa apertura a lasciarvi colpire sino alla provocazione di tutto voi stessi – è innanzitutto la possibilità di incontrare la vita di uomini e donne che lo documentano in maniera evidente e splendente. Che mostrano nella loro carne l’esperienza di questo “più caro” come avvenimento che decide di tutta la vita, che decide tutta l’esplicitazione e la qualità massima della vita e della sua felicità. […] Procedo ancora con la testimonianza, stringente e struggente, che riceviamo dalla lettura dagli Atti dei Martiri. Come quella di Perpetua e Felicita. Tibia Perpetua, ventidue anni, sposata e madre di un bambino. E accanto a lei la più giovane Felicita, figlia dei suoi servi, e in gravidanza avanzata. Condannate a morte perché vogliono farsi cristiane. La loro irrinunciabile e definitiva professione di fede sarà la loro stessa morte nel nome di Gesù Cristo. È struggente, ma soprattutto stringente, ascoltare le risposte che danno alle interrogazioni poste dall’autorità e alle pressioni dei loro più stretti parenti – ancora pagani – che le invitano a rinnegare Cristo. Sentire con quanta fierezza, tenacia ed intelligenza si pongono. Sino alla drammatica testimonianza – che riceviamo con dei tratti di assoluta dolcezza e candore – del loro martirio vissuto nell’arena, dove sono ripetutamente straziate sino alla morte. Di che cosa stiamo parlando? Sembra quasi che stia esaltando un atroce spettacolo di dolore e di morte. Ma non è così. Dalla loro testimonianza fino al martirio si attesta – pur dentro una inaudita atrocità e bagno di sangue – uno spettacolo di amore e di bellezza ancor più inaudito, splendente, folgorante e vincente sulle tenebre di quella ferocia che si abbatte su di loro. L’esperienza splendente e folgorante di un inaudito amore, così assoluto e radicale, per cui si è disposti a tutto. L’avvenimento splendente di un assoluto e irrinunciabile amore che non può non investire il nostro cuore così solo assetato di questo amore, e colpire di attrattiva la nostra vita (Nicolino Pompei, Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso).
Ancora oggi ci sono uomini e donne che nel mondo soffrono violenze e persecuzioni per amore di Cristo. Proprio ieri all’Angelus Papa Francesco ha detto: “esprimo la mia vicinanza alle Missionarie della Carità per il grave lutto che le ha colpite due giorni fa con l’uccisione di quattro Religiose ad Aden, nello Yemen, dove assistevano gli anziani. Prego per loro e per le altre persone uccise nell’attacco, e per i familiari. Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi e anche dell’indifferenza, di questa globalizzazione dell’indifferenza, a cui non importa… Madre Teresa accompagni in paradiso queste sue figlie martiri della carità, e interceda per la pace e il sacro rispetto della vita umana”. Pregando per Papa Francesco e per tutte le sue intenzioni, affidiamo alla Madonna anche Nicolino e ciascuno di noi. In particolare preghiamo per Antonia, per Dante, per Elena, per Stefania e per il nostro carissimo Matteo che si sta preparando a ricevere il Battesimo.
O Dio, vieni a salvarmi
Signore, vieni presto in mio aiuto
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
Come era nel principio è ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen
…Invocazione allo Spirito Santo
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi
Mi servo ancora di sant’Ambrogio, delle parole di due sue preghiere, perché siano ora la nostra preghiera. La prima è tratta dall’inno “Al canto del gallo”, che nell’antica Liturgia Ambrosiana si recitava ogni giorno al Mattutino. “Iesu,labantesrespice/O Gesù, guarda noi che cadiamo (noi che siamo così decadenti), et nos videndo corrige/e sollevaci guardandoci; /si respicislabescadunt/se tu ci guardi i peccati vengono meno/fletuque culpa solvitur/e nel pianto la colpa viene sciolta”. C’è qualcosa di più semplice e facile del lasciarsi guardare da Gesù che non smette mai di guardarci? Eppure – come ci siamo ripetuti più volte – è altrettanto drammatico perché vuole tutta la nostra libertà sempre; una libertà che anche per la fede di un istante può tornare a rivolgersi a Lui che non smette mai di guardarci. Occorre smettere di guardare se stessi, occorre decentrarsi da se stessi, per ricominciare a guardare Gesù, a lasciarsi guardare da Lui. (Nicolino Pompei, Ma di’ soltanto una parola e io sarà salvato).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
La seconda preghiera mette ancora in gioco la figura del buon ladrone che, come abbiamo visto, è così cara a sant’Ambrogio. Il suo inno di Pasqua “Hic est diesverus Dei” è tutto incentrato sul buon ladrone. Così recita in una sua parte: “Manum tuam porrige lapsis / porgi la tua mano a noi che siamo caduti (e che facilmente cadiamo) / qui latroni confitenti paradisi ianuas aperuisti / tu che al ladrone che ti ha riconosciuto hai aperto le porte del paradiso”. Come è commovente l’espressione latina “latroni confitenti”. Quel ladrone non ha fatto niente, assolutamente niente se non riconoscerlo, confessarlo e mendicarlo solo per la fede di un momento, per la fede di un istante. Solo per la confidenza di un istantegli dice: “Gesù ricordati di me!”. E Gesù, solo per quel riconoscimento supplice di un istante, nella sua infinita misericordia gli risponde: “Oggi sarai con me in paradiso” (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato. Anche solo per la fede di un istante, in questo istante, lasciamo entrare Gesù nella nostra vita. Lasciamoci prendere e portare da Gesù a vivere con Lui la vita di ogni giorno. Facciamolo entrare dentro il nostro tempo, l’affronto delle circostanze, i nostri rapporti, dentro il nostro matrimonio, dentro la coniugalità sfinita e logorata di molti di noi, dentro il drammatico e faticoso lavoro di ogni giorno; nel terreno del nostro umano ferito, impaurito e affaticato, misero e decadente, sfinito e sfibrato dai nostri ripetuti peccati e tradimenti. E supplichiamolo con lo stesso cuore di quegli uomini e quelle donne che abbiamo incontrato in questo nostro percorso: ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario portando la croce
Dal profondo del mio cuore a te grido o Signore, ti prego ascolta la mia voce. Se consideri le colpe, o Signore, chi potrà sussistere. Ma sono certo, certissimo: presso di te è solo il perdono. O Signore, sono davanti a te senza niente da offrirti, se non la mia miseria. Sono a mani vuote, niente ti posso regalare se non la mia miseria, il mio peccato, l’amarezza e il dolore per il mio peccato, nell’assoluta certezza del tuo perdono. Con lo stesso cuore del buon ladrone, con la stessa confidenza supplice del buon ladrone, ti prego, Signore, attirami a te, attira tutto il mio cuore, attira tutto me stesso a te e al tuo amore. Di’ soltanto una parola ed io sarò salvato. Rivolgimi tutto il tuo sguardo e sollevami a te risollevandomi alla vita in te (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Io non mi muovo, non ce la faccio a vivere e a fare niente, sono incapace di guardarmi, di rapportarmi con chiunque se tu non mi guardi; sono incapace di essere vero, fedele, intero, integro, affogo solo nella paura e nell’angoscia se tu non mi chiami, non mi parli, non mi investi ora di te, della tua presenza, del tuo Amore invincibile ed eterno, se tu non mi afferri e non mi porti con te ad affrontare la vita di ogni giorno. Io penso di morire se non ti sento più parlare, se non ti sento parlare adesso, se non mi attiri adesso a te e non vieni tu dentro di me perché possa accalorarmi della tua parola e del tuo amore,che solo danno pace al mio cuore, luce ai miei occhi ottenebrati, forza al mio passo; che solo mi rendono capace di vivere, di camminare e affrontare la fatica e il dramma della vita di ogni giorno. Sì, o Signore, di’ soltanto una parola, anche solo un breve accenno, un solo tuo sospiro, ed io sarò salvato. Sì, o Signore, questa è tutta la mia certezza, è tutta la mia attesa, è tutta la domanda del mio cuore di adesso e di sempre. Così sia (Ibi).