Meditazioni 4 febbraio 2013
“Questo povero grida e il Signore l’ascolta”. Chi non grida, chi non domanda, chi non è nell’attesa come quella di un povero mendicante, mostra di essere fuori dalla sua natura. Di essere nell’appoggio di una propria e autonoma consistenza e pieno di una ricchezza artefatta e indebita con la quale tenta invano di rispondere e di soddisfare la vita, non riuscendoci mai. Mostra di essere in una assoluta affermazione di sé contraria alla natura umana e all’imponenza del proprio bisogno. Chi prende sul serio il proprio umano, chi giudica lealmente la propria esperienza umana non può non riconoscere nell’espressione del povero, del mendicante, quella più adeguata al suo essere uomo, al suo costitutivo desiderio che “desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene”. Il povero di spirito è l’uomo cosciente del suo bisogno, coincidente con il suo bisogno, con la sua fame e la sua sete di infinito, cioè di Dio. E questo uomo grida, grida con tutto se stesso al Signore. Perché ha coscienza di sé. È leale con l’esperienza del suo umano, che non censura mai, anche nei suoi momenti di inquietudine, paura e angoscia. Momenti drammatici che, se presi sul serio, risultano i più grandi alleati per una presa di coscienza umile e permanente di ciò che siamo, del nostro vero bisogno, della portata del nostro desiderio. Continua ancora il salmo: “I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla… Nulla manca a coloro che lo temono”. “Nulla manca”, perché il Signore è realmente tutta la nostra fame, tutto il nostro bisogno, tutto il nostro desiderio e quindi la nostra piena e continua soddisfazione (Nicolino Pompei, Guardate a Lui e sarete raggianti).
…Invocazione allo Spirito Santo
Affidiamo alla Madonna Nicolino e tutte le intenzioni che porta nel suo cuore. Preghiamo in particolare per tutte le persone malate a noi care e per tutte le persone che ogni giorno il Signore ci dona di incontrare in tutto quello che viviamo. Chiediamo che su di noi risplenda sempre la luce del Suo volto perché possiamo risplendere in tutto della Sua presenza.
Nel primo mistero della gloria contempliamo la resurrezione di Gesù
La risurrezione non è una teoria, ma una realtà storica rivelata dall’Uomo Gesù Cristo mediante la sua “pasqua”, il suo “passaggio”, che ha aperto una “nuova via” tra la terra e il Cielo. Non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile: Gesù Cristo, crocifisso e sepolto, è risorto con il suo corpo glorioso. Gesù è risorto perché anche noi, credendo in Lui, possiamo avere la vita eterna. Quest’annuncio sta nel cuore del messaggio evangelico. Lo dichiara con vigore san Paolo: “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”. E aggiunge: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini”. Dall’alba di Pasqua una nuova primavera di speranza investe il mondo; da quel giorno la nostra risurrezione è già cominciata, perché la Pasqua non segna semplicemente un momento della storia, ma l’avvio di una nuova condizione: Gesù è risorto non perché la sua memoria resti viva nel cuore dei suoi discepoli, bensì perché Egli stesso viva in noi e in Lui possiamo già gustare la gioia della vita eterna (Benedetto XVI, Messaggio di Pasqua 2009).
Nel secondo mistero della gloria contempliamo l’ascensione di Gesù al cielo
In Cristo asceso al cielo, l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell’intimità di Dio; l’uomo trova ormai per sempre spazio in Dio. Il “cielo”, questa parola cielo, non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l’umanità, Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti. L’essere dell’uomo in Dio, questo è il cielo. E noi ci avviciniamo al cielo, anzi, entriamo nel cielo, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in comunione con Lui (Benedetto XVI, Omelia 24.05.09).
Nel terzo mistero della gloria contempliamo la discesa dello Spirito Santo
Lo Spirito Santo rinnovò interiormente gli Apostoli, rivestendoli di una forza che li rese audaci nell’annunciare senza paura: «Cristo è morto e risuscitato!». Liberi da ogni timore essi iniziarono a parlare con franchezza. Da pescatori intimoriti erano diventati araldi coraggiosi del Vangelo. Persino i loro nemici non riuscivano a capire come mai uomini «senza istruzione e popolani» fossero in grado di mostrare un simile coraggio e sopportare le contrarietà, le sofferenze e le persecuzioni con gioia. Niente poteva fermarli. A coloro che cercavano di ridurli al silenzio rispondevano: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Così nacque la Chiesa, che dal giorno della Pentecoste non ha cessato di irradiare la Buona Novella «fino agli estremi confini della terra». Per comprendere la missione della Chiesa dobbiamo tornare nel Cenacolo dove i discepoli restarono insieme, pregando con Maria, la “Madre”, in attesa dello Spirito promesso. A quest’icona della Chiesa nascente ogni comunità cristiana deve costantemente ispirarsi. La fecondità apostolica e missionaria non è principalmente il risultato di programmi e metodi pastorali sapientemente elaborati ed “efficienti”, ma è frutto dell’incessante preghiera comunitaria. L’efficacia della missione presuppone, inoltre, che le comunità siano unite, abbiano cioè «un cuore solo e un’anima sola», e siano disposte a testimoniare l’amore e la gioia che lo Spirito Santo infonde nei cuori dei fedeli (Benedetto XVI, Messaggio per la 23° GMG).
Nel quarto mistero della gloria contempliamo l’assunzione di Maria in cielo
Maria assunta in cielo ci indica la meta ultima del nostro pellegrinaggio terreno. Ci ricorda che tutto il nostro essere – spirito, anima e corpo – è destinato alla pienezza della vita; che chi vive e muore nell’amore di Dio e del prossimo sarà trasfigurato ad immagine del corpo glorioso di Cristo risorto… Assunta in cielo, Maria non si è allontanata da noi, ma ci resta ancor più vicina e la sua luce si proietta sulla nostra vita e sulla storia dell’intera umanità. Attratti dal fulgore celeste della Madre del Redentore, ricorriamo con fiducia a Colei che dall’alto ci guarda e ci protegge. Abbiamo tutti bisogno del suo aiuto e del suo conforto per affrontare le prove e le sfide di ogni giorno; abbiamo bisogno di sentirla madre e sorella nelle concrete situazioni della nostra esistenza. E per poter condividere un giorno anche noi per sempre il suo medesimo destino, imitiamola ora nella docile sequela di Cristo e nel generoso servizio dei fratelli. È questo l’unico modo per pregustare, già nel nostro pellegrinaggio terreno, la gioia e la pace che vive in pienezza chi giunge alla meta immortale del Paradiso (Benedetto XVI, Angelus 15.08.08).
Nel quinto mistero della gloria contempliamo l’incoronazione di Maria
Guardiamo a nostra volta quella “Donna vestita di sole” che ci descrive la Scrittura. La Santissima Vergine Maria, la Donna gloriosa dell’Apocalisse, porta sul suo capo una corona di dodici stelle, che rappresentano le dodici tribù d’Israele, l’intero popolo di Dio, tutta la comunione dei santi, e insieme, ai suoi piedi, la luna, immagine della morte e della mortalità. Maria ha lasciato la morte dietro di sé; è interamente rivestita di vita, quella del Figlio, del Cristo risorto. Ella è così il segno della vittoria dell’amore, del bene e di Dio, che dona al nostro mondo la speranza di cui ha bisogno. Questa sera volgiamo il nostro sguardo verso Maria, così gloriosa e così umana, e lasciamo che sia lei a condurci verso Dio, che è il vincitore (Benedetto XVI, Lourdes 2008).