Meditazioni 29 febbraio 2016
Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia. Se mediante quelle corporali tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli e sorelle bisognosi di essere nutriti, vestiti, alloggiati, visitati, quelle spirituali – consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare – toccano più direttamente il nostro essere peccatori. Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i “superbi”, i “potenti” e i “ricchi” di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c’è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l’uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» (Lc 16,29). Quest’ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell’attesa della sua venuta. Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione! Lo chiediamo per l’intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza, riconoscendosi come l’umile serva del Signore (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2016).
Preghiamo per Papa Francesco e, come ci ha chiesto all’Angelus di ieri, preghiamo perché in Siria cessino le ostilità e la popolazione sofferente possa avere sollievo e i necessari aiuti umanitari; preghiamo anche per il popolo delle isole Fiji duramente colpite da un devastante ciclone: preghiamo per le vittime e per quanti sono impegnati nel prestare soccorso. Preghiamo per tutti i nostri cari malati, in particolare Elena, Emanuela,Gianluca, Gilberto e Stefania. Preghiamo per Matteo, che si sta preparando a ricevere il Battesimo, e affidiamo alla Madonna Nicolino.
O Dio, vieni a salvarmi
Signore, vieni presto in mio aiuto
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
Come era nel principio è ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen
…Invocazione allo Spirito Santo
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi
Solo se si è nella viva e dolorosa consapevolezza della propria drammatica condizione umana; solo se si sente dolore per la ferita della nostra debolezza mortale, della nostra incapacità a vivere e ad affrontare tutto,anche per quello che vediamo infliggersi in noi a causa del peccato, a causa dei nostri pretenziosi e perversi tentativi di affermazione di noi stessi, di misurazione di ciò che ci accade. Solo se sentiamo viva la ferita della nostra decadenza e dissoluzione, possiamo ritrovarci affamati, spalancati e sempre nell’urgenza di incontrare qualcuno che ci salvi (Nicolino Pompei, Ma di’ soltanto una parola e io sarà salvato).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Senza sentire “l’acuto” della nostra spaventosa ferita, senza sentirci dolorosamente percossi dalla mortale inquietudine e amarezza per l’indimenticabile e invincibile miseria che siamo, non ci troveremo mai nell’urgenza di cercarlo e in quell’apertura adeguata per lasciarci abbracciare dal suo perdono e bagnare dalla sua grazia (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Gesù non è venuto per i giusti, i sani, i presuntuosamente sani e giusti. Cristo è venuto per gli uomini che soffrono nella morsa della propria debolezza mortale, che soffrono la loro ferita umana, che soffrono la divisione e la frammentazione di se stessi e nel rapporto con l’altro, che soffrono l’incapacità di affrontare la realtà in tutti i suoi fattori, circostanze e rapporti; quella incapacità di corrispondere e soddisfare il loro desiderio di felicità. È venuto per quelli che soffrono l’assedio della loro debolezza e miseria: un persistente assedio che incide su tutto il procedere esistenziale in maniera drammatica. È venuto a cercare chi è perduto e chi soffre di essersi perduto. Chi è nella profonda amarezza, nella patologica delusione di veder fallito e incenerito tutto quello che ha avuto la pretesa di costruire e salvare con le proprie mani, con le proprie forze. Chi soffre nel vedere la facilità con cui cade e tradisce, la facilità a perpetuare il peccato. Ed è soltanto “quella apertura prodotta da una spaventosa ferita”, dalla dolorosa e consapevole “piaga” della nostra miseria,l’unico accesso possibile per lasciarsi abbracciare e investire dalla misericordia di Dio, per lasciarsi incontrare, afferrare e rialzare dalla misericordia di Dio fatta carne, per lasciarsi bagnare e rigenerare dalla grazia di Cristo risorto sempre presente, operante e vincente (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario portando la croce
Solo a prendere sul serio un qualsiasi momento della nostra giornata, solo ad essere attenti alla vita dei nostri fratelli uomini, anche a livello di cronaca quotidiana, non possiamo che ritrovarci, come dice il grande Eliot nei “Cori dalla rocca”, con “le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l’alto” a gridare la presenza di qualcuno che possa redimerci e salvarci. Nell’attesa di qualcuno che salvi la nostra vita dall’incidenza malefica e mortale di questa condizione umana e globale. Nell’assoluta e mendicante attesa di una presenza che sia più grande del nostro peccato, della nostra finitezza mortale, del dominio aggressivo e debilitante di paure e angosce, della nostra facilità alla caduta e al tradimento; di una presenza capace di risollevarci da questo pantano esistenziale. Non possiamo che sentire crescere nel cuore, anche ora, quella invocazione con cui ogni giorno siamo chiamati ad aprirci e ad introdurci alla vita: “O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto”. “Ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato” (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Di che “cosa” abbiamo bisogno allora, urgentemente bisogno quando la vita è sotto il peso di un fardello pesantissimo, così vinta dal buio, così facile alla caduta e alla frammentazione; quando ci troviamo imprigionati e ricattati dal dramma di un quotidiano che così spesso ci “spezza le gambe”, come scriveva Cesare Pavese? Di “cosa” abbiamo bisogno quando si ha la sensazione di perdere tutto, di perdere se stessi con tutto quello che si ha di più caro; quando la paura e l’angoscia prendono il sopravvento lasciandoci senza fiato, immettendoci in uno stato di debordante agitazione; quando la nostra debolezza mortale sembra invincibile e la notte buia sembra inesorabilmente vincente su tutto; quando in noi stessi e nei rapporti più prossimi vediamo emergere crescente una divisione e una frattura che sembrano insanabili e senza rimedio, in cui sperimentiamo l’amarezza e il fallimento di tutti i nostri tentativi risolutori? Di chi abbiamo bisogno se non della presenza di Gesù ora, proprio dentro questa nostra situazione umana, per sperimentarlo sempre più forte e vincente su tutta la nostra “debacle” umana ed esistenziale (Ibi).