Meditazioni 24 luglio 2017
Di fronte a Gesù siamo sempre e comunque nella provocazione della nostra libertà. Dentro qualsiasi momento o condizione – anche in quelli più contrassegnati da una deplorevole miseria o da un reiterato grave peccato, fino a quelli che ci trovano dentro una resistenza o una chiusura – ciascuno di noi, per la fede e il cedimento di un istante, può cominciare e ricominciare a guardare Gesù. Può cominciare e ricominciare ad incontrare il suo sguardo, ad aprire il suo cuore, a mendicare di essere rigenerato dal suo perdono, dal suo abbraccio redentivo, dal suo amore che è solo Misericordia. Oppure può persistere in un atteggiamento di chiusura e di rifiuto, ad opporre una propria misura, una propria presunzione, riconsegnando se stesso alla maledizione della debolezza mortale. È il dramma della nostra libertà. Una libertà sempre chiamata ad essere in gioco e che non potrà mai essere presupposta o semplificata. Nella certezza che tutto quello che in noi è stato un “no” fino ad un istante prima, grazie alla infinita misericordia di Dio che non viene mai meno e per la fede di un istante, può diventare un “sì”. Un “sì” a Cristo sempre presente, sempre pronto al perdono, sempre acceso dal desiderio di poterci abbracciare nella sua misericordia e rigenerare alla vita in Lui (Nicolino Pompei, Ma di’ soltanto una parola ed io sarà salvato).
Preghiamo che possa finalmente non mancare la nostra libertà, il nostro sì secondo il sì di Maria. A lei affidiamo ciascuno di noi, Nicolino e tutte le persone per cui ci è stato chiesto di pregare: Alessandro, Antonella e Simone, Camilla, Cristina, Daksh (si pronuncia Darsc), Davide, Enrico, Fabrizio, Franco, Gabriella, Giuseppe, Giulio, Guido, Joseph, Lidia, Lorena, Luigi, don Marco, Mariano, Nadia, Roberta, Roberto, Romana, Rony, suo cugino e tutta la loro famiglia, Rosario, Savina, Virginia. In comunione con Papa Francesco preghiamo perché “cessino le gravi tensioni e le violenze di questi giorni a Gerusalemme; il Signore ispiri a tutti propositi di riconciliazione e di pace”.
O Dio, vieni a salvarmi
Signore vieni presto in mio aiuto
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
Come era nel principio è ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen
…Invocazione allo Spirito Santo
Nel primo mistero della gioia contempliamo l’annuncio dell’angelo a Maria
Pensiamo a quell’espressione che l’angelo Gabriele rivolse a una giovane ragazza, sorpresa e turbata, indicando il mistero che l’avrebbe avvolta: «Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1,28). La Vergine Maria è chiamata anzitutto a gioire per quanto il Signore ha compiuto in lei. La grazia di Dio l’ha avvolta, rendendola degna di diventare madre di Cristo. Quando Gabriele entra nella sua casa, anche il mistero più profondo, che va oltre ogni capacità della ragione, diventa per lei motivo di gioia, motivo di fede, motivo di abbandono alla parola che le viene rivelata. La pienezza della grazia è in grado di trasformare il cuore, e lo rende capace di compiere un atto talmente grande da cambiare la storia dell’umanità (Papa Francesco, Omelia 08/12/15).
Nel secondo mistero della gioia contempliamo la visita di Maria alla cugina Elisabetta
Maria, subito dopo aver concepito nella fede il Figlio di Dio, affronta il lungo viaggio da Nazaret di Galilea ai monti di Giudea per andare a visitare e aiutare Elisabetta. L’angelo Gabriele le aveva rivelato che la sua anziana parente, che non aveva figli, era al sesto mese di gravidanza (cfr Lc1,26.36). Per questo la Madonna, che porta in sé un dono e un mistero ancora più grande, va a trovare Elisabetta e rimane da lei tre mesi. Nell’incontro tra le due donne – immaginatevi: una anziana e l’altra giovane, è la giovane, Maria, che per prima saluta. Il Vangelo dice così: «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta» (Lc 1,40). E, dopo quel saluto, Elisabetta si sente avvolta da grande stupore – non dimenticatevi questa parola: stupore. Lo stupore. Elisabetta si sente avvolta da grande stupore che risuona nelle sue parole: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (v. 43). E si abbracciano, si baciano, gioiose, queste due donne: l’anziana e la giovane, ambedue incinte (Papa Francesco, Angelus del 20/12/15).
Nel terzo mistero della gioia contempliamo la nascita di Gesù
Dio ci dona tutto Se stesso donando il suo Figlio, l’Unico, che è tutta la sua gioia. E solo con il cuore di Maria, l’umile e povera figlia di Sion, diventata Madre del Figlio dell’Altissimo, è possibile esultare e rallegrarsi per il grande dono di Dio e per la sua imprevedibile sorpresa. Ci aiuti Lei a percepire lo stupore per la nascita di Gesù, il dono dei doni, il regalo immeritato che ci porta la salvezza. L’incontro con Gesù farà sentire anche a noi questo grande stupore. Ma non possiamo avere questo stupore, non possiamo incontrare Gesù se non lo incontriamo negli altri, nella storia e nella Chiesa (Ibi).
Nel quarto mistero della gioia contempliamo la presentazione di Gesù al tempio
Quando i genitori di Gesù portarono il Bambino per adempiere le prescrizioni della legge, Simeone, «mosso dallo Spirito» (Lc 2,27), prende in braccio il Bambino e comincia un canto di benedizione e di lode: «Perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,30-32). Simeone non solo ha potuto vedere, ma ha avuto anche il privilegio di abbracciare la speranza sospirata, e questo lo fa esultare di gioia. Il suo cuore gioisce perché Dio abita in mezzo al suo popolo; lo sente carne della sua carne […] Il canto di Simeone è il canto dell’uomo credente che, alla fine dei suoi giorni, può affermare: è vero, la speranza in Dio non delude mai (cfr Rm 5,5), Egli non inganna. Simeone e Anna, nella vecchiaia, sono capaci di una nuova fecondità, e lo testimoniano cantando: la vita merita di essere vissuta con speranza perché il Signore mantiene la sua promessa (Papa Francesco, Omelia del 2/02/17).
Nel quinto mistero della gioia contempliamo il ritrovamento di Gesù nel tempio
Al termine di quel pellegrinaggio, Gesù tornò a Nazareth ed era sottomesso ai suoi genitori (cfr Lc 2,51). Anche questa immagine contiene un bell’insegnamento per le nostre famiglie. Il pellegrinaggio, infatti, non finisce quando si è raggiunta la meta del santuario, ma quando si torna a casa e si riprende la vita di tutti i giorni, mettendo in atto i frutti spirituali dell’esperienza vissuta. Conosciamo che cosa Gesù aveva fatto quella volta. Invece di tornare a casa con i suoi, si era fermato a Gerusalemme nel Tempio, provocando una grande pena a Maria e Giuseppe che non lo trovavano più. Per questa sua “scappatella”, probabilmente anche Gesù dovette chiedere scusa ai suoi genitori. Il Vangelo non lo dice, ma credo che possiamo supporlo. La domanda di Maria, d’altronde, manifesta un certo rimprovero, rendendo evidente la preoccupazione e l’angoscia sua e di Giuseppe. Tornando a casa, Gesù si è stretto certamente a loro, per dimostrare tutto il suo affetto e la sua obbedienza. Fanno parte del pellegrinaggio della famiglia anche questi momenti che con il Signore si trasformano in opportunità di crescita, in occasione di chiedere perdono e di riceverlo, di dimostrare l’amore e l’obbedienza (Papa Francesco, Omelia 27/12/15).