Meditazioni 23 luglio 2012
Vi chiedo di far coincidere la vostra preghiera con l’orazione dell’Offertorio che abbiamo attraversato e pregato quest’estate nella nostra Vacanza: “Accogli Signore i nostri doni in questo misterioso incontro fra la nostra povertà e la tua grandezza. Noi ti offriamo le cose che ci hai dato e tu donaci in cambio Te stesso”. Che sia la nostra domanda, vissuta come un mendicante, come un povero di spirito che non attende altro e non è spalancato ad altro che all’infinita presenza di Dio. La domanda di un uomo che sa che tutte le cose non solo non bastano al cuore, ma non ci sono perché bastino al cuore. Per questo la Chiesa ci fa pregare così: Tutto quello che ci hai dato, tutto quello che abbiamo e viviamo, noi te lo offriamo o Signore, perché tu ci dia Ciò che è veramente decisivo alla vita e corrispondente al nostro cuore assetato d’Infinito: cioè Te stesso. La vita con tutto il flusso di rapporti, circostanze, fattori e cose, c’è per incontrare Cristo, per guadagnare Cristo e lasciarsi corrispondere dal Suo amore infinito. Che sia questa la nostra domanda (Nicolino Pompei, Quello che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato una perdita…).
Invocazione allo Spirito Santo…
Grazie, Signore, per i prodigi che hai compiuto e rinnovato in questi giorni di Avvenimento in piazza; a Te affidiamo gli amici che ci hai donato di conoscere attraverso questa iniziativa e tutte le persone che sono anche solo passate in questo luogo. Unendoci al dolore della famiglia di Lorenzo, morto in un incidente stradale giovedì scorso, e alla famiglia di Joseph, di cui il 25 ricorre l’ottavo anniversario, preghiamo per l’anima di questi ragazzi e per tutti i loro parenti e amici. Affidiamo alla Madonna ciascuno di noi, Nicolino e tutte le intenzioni del suo cuore, in particolare raccomandiamo alla Madonna i nostri carissimi amici Francesca e Calogero.
Nel primo mistero della gloria contempliamo la resurrezione di Gesù
Da una parte il Signore Risorto appare quale uomo come gli altri uomini: Egli è in cammino con i discepoli di Emmaus; lascia che le sue ferite siano toccate da Tommaso, anzi, secondo Luca si lascia addirittura offrire un pezzo di pesce da mangiare, per dimostrare la sua vera corporeità. E tuttavia, anche secondo questi racconti Egli non è semplicemente un uomo ritornato come prima della morte. Innanzitutto colpisce il fatto che i discepoli in un primo momenti non lo riconoscono. Questo accade non soltanto ai due discepoli di Emmaus, ma anche a Maria di Magdala e poi nuovamente presso il mare di Tiberiade: “Quando era già l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù”. Soltanto dopo che il Signore ebbe comandato loro di prendere di nuovo il largo, il discepolo prediletto lo riconobbe: “Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!»”. È per così dire un riconoscere dal di dentro che, tuttavia, rimane sempre avvolto nel mistero. Dopo la pesca, infatti, quando Gesù li invita a mangiare, continua ad esserci una strana sorta di estraneità. “Nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore”. Lo sapevano dal di dentro, non a causa del suo aspetto né grazie al loro sguardo attento… Egli è pienamente corporeo. E tuttavia non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi dello spazio e del tempo. In questa sorprendente dialettica tra identità e alterità, tra vera corporeità e libertà dai legami del corpo si manifesta l’essenza peculiare, misteriosa della nuova esistenza del Risorto. Valgono infatti ambedue le cose: Egli è lo stesso – un Uomo in carne e ossa – ed Egli è anche il Nuovo, Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret).
Nel secondo mistero della gloria contempliamo l’ascensione di Gesù al cielo
Luca ci dice che i discepoli erano pieni di gioia dopo che il Signore si era allontanato definitivamente da loro. Noi ci aspetteremmo il contrario. Ci aspetteremmo che essi fossero rimasti sconcertati e tristi. Il mondo non era cambiato, Gesù si era definitivamente allontanato da loro. Avevano ricevuto un compito apparentemente irrealizzabile, un compito che andava al di là delle loro forze. Come potevano presentarsi alla gente di Gerusalemme, in Israele, in tutto il mondo e dire: “Quel Gesù, apparentemente fallito, è invece il Salvatore di tutti noi?”. Ogni addio lascia dietro di sé un dolore. Anche se Gesù era partito da Persona vivente, come poteva non renderli tristi il suo congedo definitivo? Eppure si legge che essi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e lodavano Dio. Come possiamo capire tutto questo? Ciò che in ogni caso si può dedurne è che i discepoli non si sentono abbandonati; non ritengono che Gesù si sia come dileguato in un cielo inaccessibile e lontano da loro. Evidentemente sono certi di una presenza nuova di Gesù. Sono sicuri che il Risorto proprio ora è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente. Essi sanno che “la destra di Dio” , alla quale ora Egli è “innalzato”, implica un nuovo modo della sua presenza, che non si può più prevedere – il modo, appunto, in cui solo Dio può esserci vicino. La gioia dei discepoli dopo l’ “ascensione” corregge la nostra immagine di tale evento. L’ “ascensione” non è un andarsene in una zona lontana dal cosmo, ma è la vicinanza permanente che i discepoli sperimentano in modo così forte da trarne una gioia durevole (Ibi).
Nel terzo mistero della gloria contempliamo la discesa dello Spirito Santo
Non c’è Chiesa senza Pentecoste. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. Così è stato all’inizio, nel Cenacolo, dove i discepoli “erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui” – come ci riferisce il libro degli Atti degli Apostoli (1,14). E così è sempre, in ogni luogo e in ogni tempo… dovunque i cristiani si radunano in preghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito. Anche noi vogliamo essere spiritualmente uniti alla Madre di Cristo e della Chiesa invocando con fede una rinnovata effusione del divino Paraclito (Benedetto XVI, Regina coeli del 23.05.10).
Nel quarto mistero della gloria contempliamo l’assunzione in cielo di Maria
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore» (Lc 1, 46). Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino. Al contrario, Maria ha posto Dio al centro della propria vita, si è abbandonata fiduciosa alla sua volontà, in atteggiamento di umile docilità al suo disegno d’amore. A motivo di questa sua povertà di spirito e umiltà di cuore, è stata scelta per essere il tempio che porta in sé il Verbo, il Dio fatto uomo. Di Lei, pertanto, è figura la «Figlia di Sion» che il profeta Sofonia invita a rallegrarsi, a esultare di gioia (Benedetto XVI, Discorso del 31.05.12).
Nel quinto mistero della gloria contempliamo l’incoronazione di Maria
Cari amici, questa sera vogliamo volgere il nostro sguardo a Maria con rinnovato affetto filiale. Tutti abbiamo sempre da imparare dalla nostra Madre celeste: la sua fede ci invita a guardare al di là delle apparenze e a credere fermamente che le difficoltà quotidiane preparano una primavera che è già iniziata in Cristo Risorto. Al Cuore Immacolato di Maria vogliamo attingere questa sera con rinnovata fiducia per lasciarci contagiare dalla sua gioia, che trova la sorgente più profonda nel Signore. La gioia, frutto dello Spirito Santo, è distintivo fondamentale del cristiano: essa si fonda sulla speranza in Dio, trae forza dalla preghiera incessante, permette di affrontare con serenità le tribolazioni. San Paolo ci ricorda: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12, 12). Queste parole dell’Apostolo sono come un’eco al Magnificat di Maria e ci esortano a riprodurre in noi stessi, nella vita di tutti i giorni, i sentimenti di gioia nella fede, propri del cantico mariano (Ibi).