Meditazioni 22 ottobre 2012
In questi giorni, le impressionanti immagini della Grotta di Lourdes, inondata dalle acque del fiume Gave, ci hanno particolarmente colpito per il richiamo che portano. Per esprimere loro tutta la nostra Comunione in questo momento di prova, abbiamo scritto un breve messaggio ai sacerdoti italiani che vivono a Lourdes e che negli ultimi anni ci hanno accolto e accompagnato nei nostri pellegrinaggi. Abbiamo ricevuto da parte loro questa struggente risposta che desideriamo leggere proprio ad introduzione della preghiera di questa sera: “Carissimi, grazie per esserci vicini in questo momento di dolore e di smarrimento. Oggi, guardando dall’alto lo spazio davanti alla Grotta, coperto da un metro e mezzo di acqua fangosa, non ho potuto trattenere le lacrime. I pellegrini sono desolati. Non so quando potremo tornare alla normalità. Cerchiamo di capire quello che la Madonna vuole dirci anche attraverso questa catastrofe. L’inizio dell’anno della fede ci chiede di accogliere la volontà di Dio espressa anche da questi eventi umanamente molto dolorosi. Preghiamo perché anche da questo dolore la Madonna ci aiuti ad approfondire e vivere una fede più solida e illuminata. Appena potrò tornare alla Grotta, porterò la vostra preghiera e la vostra presenza. Un forte abbraccio. P. Palmiro”.
Invochiamo insieme la discesa dello Spirito Santo, chiedendo di essere aperti a questa testimonianza e a questo ulteriore richiamo ricevuti.
…Invocazione allo Spirito Santo
In comunione con il Papa, vogliamo affidare alla materna protezione della Vergine Maria tutti i missionari e i Vescovi riuniti a Roma per il Sinodo. Affidiamo alla Madonna anche il nostro 22° Convegno che sta per iniziare, Nicolino e tutte le intenzioni che porta nel suo cuore. In particolare preghiamo per Remigia, Gilberto, Isabella e per tutte le persone malate; preghiamo anche per i carissimi Oliviero e Nicola il cui cammino terreno si è concluso in questi giorni.
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nel Getsemani
Cosa possiamo avere di più caro se non Colui in cui consiste tutta la pienezza della divinità e quindi tutta la nostra pienezza? Eppure è proprio questa domanda che ora deve trovarci aperti e disponibile ad un serio, leale e profondo lavoro di verifica. La domanda stessa, prima ancora che la risposta che sicuramente daremmo. Possiamo anche trovarci pronti ad accoglierla. Ma quanto siamo disposti a lasciarci colpire e a lasciarla penetrare in noi per una verifica seria e leale di ciò che veramente abbiamo di più caro? È una domanda che non può che colpire tutto il nostro essere, che ci deve trovare disponibili ad una reale spoliazione perché possa toccare la profondità di noi stessi, dove poter sentire l’urgente e necessaria portata vitale che questa porta in sé (Nicolino Pompei, Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Capite perché è urgente lasciarsi scuotere radicalmente dalle parole dello starets Giovanni? Lasciarsi colpire fino a sentire abbattere le tante immagini che ci siamo costruiti e che non ci permettono di guardarci fino in fondo. Occorre desiderare di non nascondersi più, di non trovarsi in una ostinata difesa rispetto alla verità e alla portata di questa provocazione. Lasciarsi denudare senza tentare di attutire il colpo, nel nascondimento di parole, giustificazioni o reazioni con cui cerchiamo di evitare di lascia incontrare noi stessi (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Quello che dobbiamo verificare in noi stessi è il riconoscimento vitale, il valore assoluto e l’incidenza della presenza di Cristo nella nostra vita ora. Tanto che seguendovi dovrei riconoscerlo come presenza totalizzante e senza la quale la vita verrebbe meno. Verrebbe meno della sua verità, del suo senso, della sua capacità di rapporto, di affronto e di resistenza, della sua capacità di maturazione compimento, della sua possibile gioia e bellezza. Verrebbe meno la massima capacità di dinamismo della ragione e tutta la possibile soddisfazione che sola muove e appaga la libertà di un uomo. Verrebbe meno la possibilità di un io vero e intero e della sua personalità dentro la storia (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario
Il richiamo non è sulla coerenza o sul coraggio ma sulla presenza, sul riconoscimento e sul valore reale della Sua presenza […] E anche quando poniamo la questione della coerenza, è solo nel riconoscimento e nella certezza della Sua presenza che possiamo domandarla. Domandarla proprio a Cristo come esigenza ed espressione di un continuo attaccamento della nostra vita a Lui. In tutto e con tutto quello è che e vive, anche drammaticamente. Tanto che dovremmo riconoscere ciò che abbiamo di più caro anche in quei momenti in cui il rapporto con persone o circostanze è segnato da fragilità, debolezza, miseria, fatica o dolore. Anzi, sono proprio questi momenti che mostrano chi è tutta la nostra fiducia, chi è tutta la nostra confidenza come domanda, sguardo, attaccamento e affezione (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
San Tommaso afferma: “Gratia facit fidem”, è la Grazia che fa la fede. È Lui che si fa incontrare, è Lui che ci attrae e ci afferra […] È sempre sua l’iniziativa originale e costitutiva. Pensate che disastro sarebbe se fosse nostra, se dipendesse da noi! Ci ritroveremmo definitivamente sconfitti da tutto quello che interpretiamo, riduciamo, manipoliamo, obiettiamo. E nell’impossibilità di rialzarci e ricominciare. Solo perché è Sua l’iniziativa è sempre possibile rialzarsi e ricominciare. San Tommaso, infatti, continua dicendo che questa Grazia non è solamente all’inizio. Che la Grazia fa la fede non solo quando la fede ha inizio, ma in ogni istante in cui dura, “quamdie fides durat” (Ibi).