Meditazioni 22 marzo 2010
“O Dio, vieni a salvarmi, vieni presto in mio aiuto; sii luce e forza al mio passo fragile, debole, che fugge da Te; aiutami ad attaccarmi a Te, ad obbedirti; sia fatta la tua Volontà su di me, su quello che faccio, su questo istante; su ogni istante non prevalga la mia, ma la tua Volontà…”. Occorre pregare per ridestare e ravvivare sempre il nostro cuore alla posizione originale, alla posizione del bambino, per vivere quell’abbandono necessario come corrispondenza al suo inesauribile Amore: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo, non vado in cerca di cose grandi (quelle che stabilisco io come grandi e in cui pretendo di far consistere la mia ricchezza, la mia consistenza). Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia” (Nicolino Pompei, Egli è la pietra…).
… Invocazione allo Spirito Santo
O Maria, affidiamo a Te l’incontro che domenica prossima vivremo con il nostro Vescovo, mons. Gestori, perché possa segnare un momento deciso per la vita della nostra Compagnia e di ciascuno di noi. A Te, affidiamo anche Nicolino, raccomandando alla tua materna intercessione le intenzioni che porta nel suo cuore.
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nel Getsemani
Gesù è là, solo nel giardino che odora di ulivo. Si è gettato a terra e ha allargato le braccia per unire i due estremi, distanti un abisso, della disperazione e della speranza. Getsemani, ora della paura e dell’angoscia, del tristezza e del sudore di sangue, degli amici che si addormentano e non comprendono. Getsemani, ora della tentazione suprema: riprendersi subito la gloria divina di Figlio e abbandonare la causa dell’uomo. Getsemani, ora della preghiera intensa e del dialogo filiale, dell’accettazione, nell’amore, del calice amaro. Per l’agonia del Getsemani si riapre – testimoni gli ulivi – la porta dell’antico giardino e trabocca di speranza il calice della passione dell’uomo (Giovanni Paolo II, Via Crucis al Colosseo 1991).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Gesù è innocente. Pilato l’ha compreso. Sa che i sommi sacerdoti lo hanno consegnato per invidia. Ma non sa spiegarsi in che modo sia re quell’uomo povero e mite che gli sta davanti. È pieno di stupore. Vorrebbe liberare Gesù. Ma incalza il grido della folla sobillata: “Crocifiggilo!”. Urlo di tutti i tempi, in cui ognuno riconosce la propria voce. Invidia dei sacerdoti, ostilità del popolo manipolato, viltà di un politico che non assume la sua responsabilità: così Gesù viene fatto flagellare e consegnato alla morte (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Incoronato del dolore dell’umanità, sferzato dal peccato del mondo, Gesù, silenziosamente, accetta il dileggio e lo scherno. Nell’incomprensione più assoluta, egli è re di verità, quella verità che annulla l’illusione di un Messia potente e vendicatore e lo rivela servo della vita, come sta scritto: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire… egli si è caricato delle nostre sofferenze, e si è addossato i nostri dolori”. Re perché serve, re perché assume il limite della condizione umana e le infonde un significato di speranza e di salvezza. In lui, ciò che il mondo ritiene stolto, debole, ignobile, non può essere ormai più disprezzato: è sapienza e potenza di Dio (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario portando la croce
I soldati si sono presi burla di lui. Ma ora basta con il gioco. È stato condannato a morte: si esegua la sentenza. Gli ridanno le vesti, lo caricano della croce. Ora Gesù è veramente il maestro che precede i suoi discepoli, il sacerdote che sale l’altare del sacrificio, l’agnello che porta su di sé il peccato del mondo. Con la croce sulle spalle Gesù va “fuori”: come proscritto esce dalle mura della città, come capro espiatorio allontanato dall’accampamento, come il figlio della parabola cacciato fuori dalla vigna e ucciso. Con la croce, fuori. Allora, dietro Gesù, comincia il grande ritorno dell’uomo nella casa del Padre. Con la croce, fuori. Camminando verso il Golgota, Gesù indica all’uomo smarrito la via della salvezza. Con la croce, fuori. Gesù è là, in attesa dell’ultimo uomo, per portare con lui il peso della vita (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Un duplice, forte grido nella morte di Cristo. Il primo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Grido misterioso, segno della sofferenza atroce, voce di speranza contro ogni speranza, canto di vittoria sulle potenze del male. Gesù, il figlio fedele, schiacciato da angoscia mortale, tentato di sfiducia, proclama dalla croce, come già tra gli ulivi, la sua adesione al progetto salvifico del Padre. Il secondo: “Gesù, dando un forte grido, spirò”. Grido possente, invocazione alla vita che gli viene strappata, gemito di ora di parto, vagito immenso della nuova creazione nata dalla morte di Cristo. Gesù, l’amico fedele, pur tradito rinnegato deriso, conferma, come già nell’ultima Cena, il suo amore per l’uomo, perché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Ibi).