Meditazioni 21 novembre 2011
Nel desiderio di continuare ad accogliere il richiamo che Gesù ci ha donato nel Vangelo di ieri, ci introduciamo all’Affidamento di questa sera riattraversando insieme questo tratto dell’Inno alla carità di San Paolo che Nicolino ha approfondito con noi al Convegno del 2006:
“… Se anche parlassi le lingue degli uomini – pensiamo alla possibilità di conoscere e saper parlare tutte le lingue presenti sulla faccia della terra – e degli angeli – già qui facciamo più difficoltà ad immaginarlo, ma è comunque qualcosa che supera l’orizzonte finito del linguaggio umano – ma non ho la carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo strepitante. E se anche avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza – pensate al tentativo degli uomini, nemmeno così tanto celato, di arrivare alla conoscenza di tutto, alla spiegazione di tutto – e anche possedessi tutta la fede – qui è argomento nostro… – così da trasportare le montagne – una fede così forte da trasportare e muovere le montagne – ma non ho la carità, NON SONO NIENTE – che botta, che contraccolpo! Non solo rispetto alla mentalità del mondo ma anche per noi che parliamo sempre della fede, della nostra tensione a…, della nostra passione per l’umano, del desiderio del cuore, del bisogno del cuore, della nostra Compagnia, del dialogo tra noi, dell’amicizia… E se anche distribuissi tutte le mie sostanze – distribuire per sfamare, questo è il senso esplicativo… È il massimo della povertà evangelica e dell’azione di carità così come viene normalmente concepita – e se anche dessi il mio corpo per essere bruciato – è la suprema accondiscendenza alla disponibilità della vita – ma non ho la carità, NON MI GIOVA NULLA” (cfr. 1 Cor 13,1 ss.). Ma cos’è allora questa carità senza la quale, se anche vivessi nella supremazia della lingua, della conoscenza e della scienza, addirittura della fede, della povertà assoluta, della disponibilità a farmi bruciare vivo, non sono niente? […] La carità, senza la quale non sono niente, è Cristo stesso, è l’Amore di Cristo. È proprio l’Amore di Cristo e il nostro amore a Lui l’Avvenimento che ci deve muovere, commuovere sempre e in tutto quello che facciamo o poniamo (Nicolino Pompei, Caritas Christi urget nos).
…Invocazione allo Spirito Santo
Affidiamo alla Madonna ciascuno di noi, Nicolino e tutte le intenzioni che porta nel suo cuore; in particolare mendichiamo l’eterno riposo per Francesca, e la consolazione dello Spirito Santo per Rossana, Letizia e tutta la loro famiglia; continuiamo a pregare anche per i nostri tanti cari malati.
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nel Getsemani
In Cristo Gesù l’Amore di Dio, il suo essere Misericordia, accade in un Uomo. Accade e si rivela come Uomo: ha lo sguardo di un Uomo, ha l’abbraccio di Uomo che va incontro al figlio perduto, confuso, sconfitto, abbandonato a se stesso; ha la presenza umana di un Uomo che si riversa commosso sull’umano caduto e sconfitto, senza forza e direzione. E soprattutto ha lo sconvolgente documento di un Uomo che ama sino a consegnarsi alla morte, a morire della morte che non conosce, non può conoscere, perché è Dio. Perché? Solo per Amore dell’uomo che muore e a vantaggio della salvezza dell’uomo che muore (Nicolino Pompei, Caritas Christi urget nos).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Cristo è l’inaudito amore di Dio che accade e si dimostra nella storia in tutto il suo essere Misericordia. Misericordia… “parola” sconosciuta ed impossibile all’uomo perché attinente solo a Dio, all’Essere di Dio che in Gesù, nella presenza di Gesù, diventa uno sguardo umano incontrabile e sperimentabile. Uno sguardo di Uomo che investe e rialza anche l’umanità più sfinita e sfibrata dal male mentitore e menzognero – di cui così spesso siamo insensati seguaci. L’Amore di Cristo è tutta la sconvolgente manifestazione, nella carne di un Uomo, dell’Amore di Dio per ogni uomo, dell’Amore che si lascia abbattere da ciò da cui siamo sempre battuti ed abbattuti, per rialzarci e risollevarci al livello dell’Infinito da cui siamo creati e di cui siamo immagine e somiglianza e quindi costitutiva e continuativa esigenza esistenziale (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Il suo essere Amore è il suo agire. Il suo essere Amore che solo per Amore “annientò se stesso prendendo natura di servo, diventando simile agli uomini; e apparso in forma umana si umiliò facendosi obbediente fino alla morte in croce”, come afferma san Paolo nella Lettera ai Filippesi. La spogliazione di se stesso e l’accadere come Uomo non significa togliersi la natura divina, cessare di essere Dio, ma è il documento sconvolgente del suo Mistero di Amore che in Gesù assume la natura umana soggetta alla sofferenza, al dolore, ai patimenti e alla morte. Che nella carne di Gesù assume tutta l’infamia del peccato e delle sue conseguenze sull’uomo, fino a morire, solo per Amore e solo a vantaggio della salvezza di ogni uomo (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario
Un Amore che si dimostra coinvolto con noi fin dentro le minime fessure del nostro umano straziato dal dolore e dal male, e sino alla commozione per questo umano. Un Amore che si rivela come Amore che ci ama sino alla pietà e allo struggimento per il nostro umano straziato, disintegrato dalla sofferenza a causa del male e della nostra empietà ostinata. Un Amore così coinvolto con l’umano afflitto, atterrito e sotterrato dalla morte da consegnare se stesso gratuitamente e liberamente alla morte, e alla morte di croce. Un Amore che si consegna all’amato sino a morire per dissotterrare, rialzare, rimettere in piedi e in cammino la vita di ognuno (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Gesù crocifisso, squarciato nella sua carne fino alla morte, diventa il documento inaudito dell’Essere di Dio: Dio è Misericordia, Amore, solo Amore, Amore mosso e commosso solo dal suo essere Amore a vantaggio dell’umano flagellato dalla miseria che siamo… Nella carne di Cristo crocifisso c’è “quel volgersi di Dio contro se stesso” – come ha affermato in maniera struggente Benedetto XVI – che solo per Amore, puro e assoluto Amore, assume tutto quello che di misero, marcio e mortale affligge e sprofonda l’uomo e da cui l’uomo stesso si lascia affliggere e sprofondare; affinché, liberato dal tremendo giogo del male, sempre riprenda a camminare nella vita, dentro ad ogni istante della sua vita; incessantemente riammesso alla Vita, riammesso – dentro ad ogni passo terreno – al cammino di felicità e al suo compimento definitivo nella Vita eterna: suo vero destino (Ibi).