Meditazioni 21 marzo 2016
Innanzitutto lo Spirito Santo; sì, il primo passo, il primo approfondimento è l’invocazione dello Spirito Santo. Prima di qualsiasi parola […] è inevitabile invocare lo Spirito Santo, lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, perché come dice san Paolo ai Romani: “Solo lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza perché nemmeno sappiamo cosa chiedere”, cosa chiedere in maniera conveniente; non sappiamo chiedere ciò che è necessario e quindi decisivo per noi.
Per l’uomo è necessario, è decisivo quello che risponde-corrisponde alla sua costituzione. La sua costituzione è Altro da sé. L’uomo – io e te – è questa esigenza, questa necessità di Colui che è totalmente Altro da sé, che lo ha costituito, che ha tessuto il suo cuore; che – come dice il salmo 139 – lo ha “tessuto nel seno di sua madre”. È necessario e quindi decisivo Colui che dà la vita, che non può che essere la Vita in ogni suo istante, in ogni suo passo, respiro e circostanza. È proprio la cosa più concreta, nonostante nell’esperienza del mondo sia fatta passare come la più astratta. È più del respiro, perché ne è l’origine, il significato e il destino. Siamo originalmente questa esigenza assoluta e inevitabile, ma con dentro una debolezza, una fragilità strutturale di cui occorre aver coscienza proprio a favore del nostro essere, del nostro io, della nostra vita così anelante il Mistero che la costituisce. Una debolezza che ci accompagna sempre, e che pur riconoscendo la rivelazione del Mistero nella presenza di Gesù, tende a farci manipolare la vita secondo la nostra misura, secondo l’illudente capacità della misura stabilita dal mondo. Ecco perché san Paolo ci richiama alla sempre operante azione dello Spirito Santo: “… Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo, infatti, cosa chiedere convenientemente, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili. E colui che scruta i cuori sa cosa desidera lo Spirito poiché intercede per i santi secondo Dio, secondo i disegni di Dio” (Rm 8,26-27). Sì, subito lo invochiamo. Perché questa necessità che noi siamo sia sempre presente, viva, mai ultimamente dimenticata nelle nostre giornate; subito lo invochiamo per non cadere nella continua trappola della tentazione-presunzione di definire noi l’unum necessarium. Ci dia la consapevolezza di questa continua debolezza che la Chiesa, ogni giorno, all’inizio della santa assemblea eucaristica ci richiama a guardare con le parole del Confiteor. Subito lo invochiamo, perché lo Spirito che scruta e sa il nostro cuore (perché l’ha fatto), sa cos’è il desiderio; sa Colui di cui abbiamo bisogno e siamo desiderio (Nicolino Pompei, Vi ho chiamato amici…)
Nella Grazia di questa Settimana Santa affidiamo a Maria Santissima Nicolino e ciascuno di noi. In particolare preghiamo per Matteo, che nella notte di Pasqua riceverà il sacramento del Battesimo; per Alessandra, nel secondo anniversario della sua nascita al cielo, per Marino e per i loro figli; preghiamo per Elena, per Raul e per Shamina; preghiamo per mons. Giancarlo Vecerrica che ieri ha annunciato la conclusione del suo ministero episcopale per raggiunti limiti di età, e preghiamo per il suo successore, don Stefano Russo che diverrà Vescovo di Fabriano. Alla Madonna raccomandiamo particolarmente Papa Francesco.
O Dio, vieni a salvarmi
Signore, vieni presto in mio aiuto
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
Come era nel principio è ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen
…Invocazione allo Spirito Santo
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi
“Questa parola è sicura e degna di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me per primo dimostrare tutta la sua magnanimità a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”. In questa disarmante testimonianza di san Paolo, non solo ritrovo tutta l’essenziale e sostanziale affermazione di me stesso, della verità di tutta la mia esperienza umana, ma anche la modalità più esauriente per condividervi con quale rinnovata coscienza sono qui tra voi. Ed è ciò che più mi urge manifestare proprio all’inizio del nostro percorso, perché possa essere di aiuto e di richiamo per ciascuno alla vera coscienza di sé, presupposto fondamentale e irrinunciabile per trovarsi adeguatamente disposti a sorprendere e ad accogliere“ciò” che il Signore ci vorrà donare e dire in questi giorni, per essere spalancati a lasciarsi incontrare dalla presenza viva di Cristo (Nicolino Pompei, Ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
“Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io…”. Chi sono i “peccatori” per cui il Signore Gesù è venuto? Certamente san Paolo non vuole innanzitutto indicare tutti quelli che fanno i peccati. Nelle sue parole, oltre all’esigenza di testimoniare la sua esperienza di uomo perdonato e salvato da Cristo, c’è qualcosa di più assoluto, di più radicale, che è inerente ad ogni uomo. Perciò quando dice che “Gesù è venuto per salvare i peccatori”si riferisce alla salvezza di ogni uomo, dell’uomo strutturalmente segnato e ferito dal peccato originale. Con “peccatori”, quindi, non vuole innanzitutto indicare chi vive azioni peccaminose, ma quella condizione originale inerente ad ogni uomo che la Chiesa ci insegna essere il peccato originale; quella strutturale e tremenda ferita che ha come conseguenza quella debolezza mortale che ciascun uomo sperimenta esistenzialmente e da cui scaturiscono tutte le azioni peccaminose. È una condizione con cui dobbiamo sempre fare i conti, di cui dobbiamo avere sempre coscienza e che rende ragione della presenza di Cristo nella storia, del mistero dell’Incarnazione di Gesù, del mistero dell’Amore di Dio che solo per amore dell’uomo e per la sua salvezza si fa Uomo (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Trovo un commovente conforto nelle parole di Papa Francesco che, in una sua omelia mattutina a Santa Marta, così è intervenuto: “Un cristiano si può vantare di due cose, dei propri peccati e di Cristo crocifisso”. Nel commentare un tratto della prima Lettera di san Paolo ai Corinzi – dove Paolo raccomanda a quanti predicano la Parola di Dio di non mettere la propria sicurezza “nella sapienza del mondo” e che “nessuno ponga il suo vanto negli uomini” – il Papa ad un certo punto si domanda: “Dov’è la sicurezza di Paolo, dove lui trova la radice della sua sicurezza?… Anche lui aveva studiato con i professori più importanti del tempo”. Eppure non se ne vantava. Piuttosto, prosegue il Papa, “si vantava soltanto di due cose e queste due cose delle quali si vantava Paolo sono proprio il posto dove la Parola di Dio può venire ed essere forte. Lui stesso dice: io soltanto mi vanto dei miei peccati. Scandalizza questo? E poi in un altro brano dice: io soltanto mi vanto in Cristo e questi crocifisso. La forza della Parola di Dio è in quell’incontro tra i miei peccati e il sangue di Cristo che mi salva. E quando non c’è quell’incontro, non c’è forza nel cuore. Quando si dimentica quell’incontro che abbiamo avuto nella vita, diventiamo mondani, vogliamo parlare delle cose di Dio con linguaggio umano e non serve: non dà vita” (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario portando la croce
È decisivo allora “l’incontro tra i miei peccati e Cristo”. Solo lì c’è la nostra salvezza e solo così conosciamo fino in fondo chi è Gesù. Proprio per questo il Santo Padre mette in gioco anche la figura di Pietro nel momento della pesca miracolosa, dove l’Apostolo“vede soltanto la forza di Gesù e vede se stesso”. Così si inginocchia ai piedi di Gesù dicendo: “Signore allontanati da me perché sono un peccatore”. In tale situazione – ha evidenziato il Pontefice -“il segno della salvezza è stato il miracolo della pesca, il luogo privilegiato per l’incontro con Gesù Cristo sono i propri peccati… Se un cristiano non è capace di sentirsi proprio peccatore e salvato dal sangue di Cristo crocifisso è un cristiano a metà cammino, è un cristiano tiepido… Quando noi troviamo chiese decadenti sicuramente i cristiani che sono lì mai hanno incontrato Gesù Cristo o si sono dimenticati di quell’incontro con Gesù Cristo. La forza della vita cristiana e la forza della Parola di Dio è proprio in quel momento dove io peccatore incontro Gesù Cristo e quell’incontro rovescia la vita, cambia la vita. E ci dà la forza per annunciare la salvezza agli altri”. A questo punto il Papa ha invitato a porsi alcune domande che ora dobbiamo sentire rivolte a ciascuno di noi: “Ma io sono capace di dire al Signore: sono peccatore?”. Non in maniera teorica, afferma il Papa, ma proprio riconoscendo e confessando “il peccato concreto”. E ancora: “Sono capace di credere che proprio Lui, con il suo sangue, mi ha salvato dal peccato e mi ha dato una vita nuova? Ho fiducia in Cristo? Mi vanto della croce di Cristo? Mi vanto anche dei miei peccati, in questo senso?”. E, concludendo, ha ripetuto: “Di quali cose si può vantare un cristiano? Di due cose: dei propri peccati e di Cristo crocifisso” (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Che conforto riceviamo da queste disarmanti parole del nostro Papa! Un conforto, ma anche un richiamo a verificare quale reale coscienza abbiamo di noi stessi e della presenza di Cristo. Con quale consapevolezza siamo qui e quale esperienza abbiamo fatto, facciamo e vediamo in noi della salvezza che Cristo ha guadagnato a prezzo del suo sangue. Non ritrovarsi nella viva coscienza della propria miseria, del proprio peccato, della propria incapacità strutturale, non solo significa essere fuori dalla natura umana, ma anche dall’esperienza di Gesù come Salvatore e Redentore. Significa essere estranei a noi stessi, alla nostra reale condizione umana, e quindi estranei e lontani dall’esperienza reale e continua dell’avvenimento della salvezza di Cristo, dall’esperienza concreta e permanente di quella vita nuova e libera che scaturisce solo dall’incontro con Gesù e dall’avvenimento della sua misericordia, come ci ha detto il Papa. Se non è per questa esperienza, che stiamo a fare qui? […] Possiamo essere qui solo per lasciarci investire dall’Amore di Cristo, per l’esperienza del suo Amore sempre più grande di tutta la nostra miseria. Per l’esperienza di quella magnanimità dell’Amore di Dio che sempre e solo è capace di riammetterci alla vita, restituirci uomini alla storia e al quotidiano cammino verso la vita piena e beata (Ibi).