Meditazioni 17 dicembre 2012
Pensiamo al sole e all’esperienza che facciamo della sua irradiazione. Quello che certamente non può mancare è che ci sia il sole, che il sole irradi permanentemente la sua luce e il suo calore. È l’infinito e incessante amore di Dio e della Sua Grazia che ci precede e ci accompagna sempre, senza condizioni: solo per Amore. Ma occorre starci sotto l’influsso del sole, occorre starci per esserne irradiati, illuminati e scaldati. E tanto più ci stai quanto più diventa evidente la convenienza e la sublimità di questa esperienza. Quanto più riconosci che sei fatto per essere illuminato e scaldato da quella luce, che tutta la tua esigenza e il tuo bisogno sono quella luce e il suo calore. Quanto più cresce l’evidenza che solo in quella luce puoi vedere tutto e veramente e che il suo calore spalanca e muove ad abbracciare tutto e veramente. Nell’avvenimento del Suo sguardo e del Suo amore noi possiamo guardare ed amare tutto e veramente. Allora tutto il nostro “starci” è semplicemente il cedimento all’avvenimento di un’attrattiva […] Tanto più staremo dentro questa tensione, tanto più lo lasceremo entrare nella nostra “casa”, tanto più gli daremo spazio, quanto più il nostro umano emergerà nell’esperienza di un’esaltazione, di una luminosità e di una consistenza manifesta, dal pensare all’agire, dall’amore al lavoro. Emergerà nell’esperienza di una radiosità manifesta nel nostro umano come splendore del Suo volto in noi. “Risplenda su di noi la luce del Tuo volto, o Signore…”, perché possiamo risplendere in tutto della Tua presenza (Nicolino Pompei, Guardate a Lui e sarete raggianti).
…Invocazione allo Spirito Santo
Nel Santo Rosario di questa sera portiamo tutti gli amici e le persone care che ognuno di noi ha presenti e che sappiamo hanno particolarmente bisogno della nostra preghiera in questo momento.
Affidiamo alla Madonna in modo particolare Juan Carlos e la sua famiglia.
Preghiamo per tutte le persone a cui stiamo donando il volantino di Natale.
Affidiamo ciascuno di noi a Maria, raccomandandole particolarmente Nicolino e le intenzioni che porta nel suo cuore.
Nel primo mistero della gioia contempliamo l’annuncio dell’Angelo a Maria
Penso che sia importante ascoltare anche l’ultima frase della narrazione lucana dell’Annunciazione: “E l’angelo si allontanò da lei” (Lc 1,38). La grande ora dell’incontro con il messaggero di Dio, nella quale tutta la vita cambia, passa, e Maria resta sola con il compito che, in verità, supera ogni capacità umana. Non ci sono angeli intorno a lei. Ella deve continuare il cammino che passerà attraverso molte oscurità – a cominciare dallo sconcerto di Giuseppe di fronte alla sua gravidanza fino al momento in cui Gesù viene dichiarato “fuori di sé”, anzi, fino alla notte della Croce. Quante volte in queste situazioni Maria si sarà interiormente riportata all’ora in cui l’angelo di Dio le aveva parlato, avrà riascoltato e meditato il suo saluto: “Rallegrati, piena di grazia!”, e la parola di conforto: “Non temere!”. L’angelo se ne va, la missione rimane, e insieme con essa matura la vicinanza interiore a Dio, l’intimo vedere e toccare la sua vicinanza (Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù).
Nel secondo mistero della gioia contempliamo la visita di Maria alla cugina Elisabetta
L’evangelista annota che «Maria rimase con lei (con la parente Elisabetta) circa tre mesi» (Lc 1,56). Queste semplici parole dicono lo scopo più immediato del viaggio di Maria. Aveva saputo dall’Angelo che Elisabetta aspettava un figlio e che era già al sesto mese (cfr Lc 1,36). Ma Elisabetta era anziana e la vicinanza di Maria, ancora molto giovane, poteva esserle utile. Per questo Maria la raggiunge e rimane con lei circa tre mesi, per offrirle quella vicinanza affettuosa, quell’aiuto concreto e tutti quei servizi quotidiani di cui aveva bisogno […] La carità di Maria, però, non si ferma all’aiuto concreto, ma raggiunge il suo vertice nel donare Gesù stesso, nel “farlo incontrare”. È ancora san Luca a sottolinearlo: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo» (Lc 1,41). Siamo così al cuore e al culmine della missione evangelizzatrice. Siamo al significato più vero e allo scopo più genuino di ogni cammino missionario: donare agli uomini il Vangelo vivente e personale, che è lo stesso Signore Gesù. E quella di Gesù è una comunicazione e una donazione che – come attesta Elisabetta – riempie il cuore di gioia: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). Gesù è il vero e unico tesoro che noi abbiamo da dare all’umanità. È di Lui che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno profonda nostalgia, anche quando sembrano ignorarlo o rifiutarlo. È di Lui che hanno grande bisogno la società in cui viviamo, l’Europa, il mondo intero (Benedetto XVI, Discorso del 31.05.10).
Nel terzo mistero della gioia contempliamo la nascita di Gesù
Il racconto del Natale secondo san Luca ci narra che Dio ha un po’ sollevato il velo del suo nascondimento dapprima davanti a persone di condizione molto bassa, davanti a persone che nella grande società erano piuttosto disprezzate: davanti ai pastori che nei campi intorno a Betlemme facevano la guardia agli animali. Luca ci dice che queste persone “vegliavano”. Possiamo così sentirci richiamati a un motivo centrale del messaggio di Gesù, in cui ripetutamente e con crescente urgenza fino all’Orto degli ulivi torna l’invito alla vigilanza – a restare svegli per accorgersi della venuta del Signore ed esservi preparati. Pertanto anche qui la parola significa forse più del semplice essere esternamente svegli durante l’ora notturna. Erano persone veramente vigilanti, nelle quali il senso di Dio e della sua vicinanza era vivo. Persone che erano in attesa di Dio e non si rassegnavano all’apparente lontananza di Lui nella vita di ogni giorno. Ad un cuore vigilante può essere rivolto il messaggio della grande gioia: in questa notte è nato per voi il Salvatore. Solo il cuore vigilante è capace di credere al messaggio. Solo il cuore vigilante può infondere il coraggio di incamminarsi per trovare Dio nelle condizioni di un bambino nella stalla. Preghiamo in quest’ora il Signore affinché aiuti anche noi a diventare persone vigilanti (Benedetto XVI, Omelia del 24.12.08).
Nel quarto mistero della gioia contempliamo la presentazione di Gesù al Tempio
La festa della Presentazione del Signore, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, ci mostra Maria e Giuseppe che, in obbedienza alla Legge mosaica, si recano al tempio di Gerusalemme per offrire il bambino, in quanto primogenito, al Signore e riscattarlo mediante un sacrificio […] Il gesto rituale dei genitori di Gesù, che avviene nello stile di umile nascondimento che caratterizza l’Incarnazione del Figlio di Dio, trova una singolare accoglienza da parte dell’anziano Simeone e della profetessa Anna. Per divina ispirazione, essi riconoscono in quel bambino il Messia annunziato dai profeti. Nell’incontro tra il vegliardo Simeone e Maria, giovane madre, Antico e Nuovo Testamento si congiungono in modo mirabile nel rendimento di grazie per il dono della Luce, che ha brillato nelle tenebre ed ha impedito loro di prevalere: Cristo Signore, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele (Benedetto XVI, Omelia del 2.02.12).
Nel quinto mistero della gioia contempliamo il ritrovamento di Gesù nel Tempio
Nell’episodio di Gesù dodicenne, sono registrate anche le prime parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (2,49). Dopo tre giorni di ricerche, i suoi genitori lo ritrovarono nel tempio seduto tra i maestri mentre li ascoltava ed interrogava (cfr 2,46). Alla domanda perché ha fatto questo al padre e alla madre, Egli risponde che ha fatto soltanto quanto deve fare il Figlio, cioè essere presso il Padre. Così Egli indica chi è il vero Padre, chi è la vera casa, che Egli non fatto niente di strano, di disobbediente. E’ rimasto dove deve essere il Figlio, cioè presso il Padre, e ha sottolineato chi è il suo Padre. La parola «Padre» sovrasta quindi l’accento di questa risposta e appare tutto il mistero cristologico. Questa parola apre quindi il mistero, è la chiave al mistero di Cristo, che è il Figlio, e apre anche la chiave al mistero nostro di cristiani, che siamo figli nel Figlio. Nello stesso tempo, Gesù ci insegna come essere figli, proprio nell’essere col Padre nella preghiera. Il mistero cristologico, il mistero dell’esistenza cristiana è intimamente collegato, fondato sulla preghiera. Gesù insegnerà un giorno ai suoi discepoli a pregare, dicendo loro: quando pregate dite «Padre». E, naturalmente, non ditelo solo con una parola, ditelo con la vostra esistenza, imparate sempre più a dire con la vostra esistenza: «Padre»; e così sarete veri figli nel Figlio, veri cristiani (Benedetto XVI, Udienza del 28.12.11).