Meditazioni 13 luglio 2009
Il Vangelo di oggi ci ha rimesso davanti quell’affermazione che particolarmente mettemmo a tema del nostro XV Convegno: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi la perderà per Me la troverà”. “Prima ancora di domandarci cosa dobbiamo perdere per trovare – ci diceva Nicolino in quella occasione – ridomandiamoci cosa hanno incontrato, sentito, visto quei primi uomini da non poter più fare a meno di stare con Lui, da non poter più fare a meno della sua faccia, del suo sguardo, di quelle sue parole. C’è quello da continuare a riconoscere. Non c’è altro da ritrovare se non quella faccia e quello sguardo come Avvenimento vivo, determinante e generativo adesso, generativo di quella incredibile esperienza umana che i Primi hanno sperimentato. L’esperienza di uno sconvolgente e disarmante Amore, di una splendente Bellezza da cui loro si sono sentiti attratti e afferrati. A questo Amore e a questa Bellezza siamo chiamati a cedere. Per questa esperienza viva di Amore e di Bellezza siamo chiamati a perdere, a lasciare…”.
Occorre vivere il lasciare, “il perdere come una conversione continua a Cristo, perché persone e cose risultino e siano guardate, afferrate, scelte, amate dalla parte Sua, vera consistenza di esse e di tutto; quindi ritrovate, afferrate, possedute, amate, veramente e adeguatamente”.
Per questa conversione continua a Cristo, invochiamo lo Spirito Santo.
…Invocazione allo Spirito Santo
“La preghiera – ha detto il Papa all’Angelus di ieri – non conosce distanze e separazioni:dovunque siamo essa fa di noi un cuore solo e un’anima sola”. Con questa certezza, affidiamo alla Madonna tutte le nostre intenzioni, raccomandando particolarmente alla sua materna custodia la nostra Compagnia e Nicolino. Come il Papa ci ha indicato ieri, chiediamo al Padre di non avere nulla di più caro del Suo Figlio Gesù, che rivela al mondo il mistero del Suo amore e la vera dignità dell’uomo. Ci ottenga la Vergine Maria di camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra intelligenza, “vale a dire con l’ardore della carità e la sapienza della verità”.
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nel Getsemani
La dolorosa passione del Signore Gesù non può non muovere a pietà anche i cuori più duri, poiché costituisce l’apice della rivelazione dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Osserva san Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). È per amore nostro che Cristo muore in croce!
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Fermiamoci questa sera a contemplare il Suo volto sfigurato: è il volto dell’Uomo dei dolori, che si è fatto carico di tutte le nostre angosce mortali. Il suo volto si riflette in quello di ogni persona umiliata ed offesa, ammalata e sofferente, sola, abbandonata e disprezzata. Versando il suo sangue, Egli ci ha riscattati dalla schiavitù della morte, ha spezzato la solitudine delle nostre lacrime, è entrato in ogni nostra pena ed in ogni nostro affanno.
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Cosa sarebbe l’uomo senza Cristo? Osserva sant’Agostino: “Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato” ( Discorso 185,1). Perché allora non accoglierLo nella nostra vita?
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario portando la croce
[La Via crucis è] la vicenda tragica di un Uomo unico nella storia di tutti i tempi, che ha cambiato il mondo non uccidendo gli altri, ma lasciandosi uccidere appeso ad una croce. Quest’Uomo, apparentemente uno di noi, che mentre viene ucciso perdona i suoi carnefici, è il “Figlio di Dio”, che – come ci ricorda l’apostolo Paolo – “ non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,6-8).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Il centurione, che si trovava di fronte a lui avendolo visto spirare in quel modo disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio !” (Mc 15, 39). Non può non sorprenderci la professione di fede di questo soldato romano, che aveva assistito al succedersi delle varie fasi della crocifissione. Quando le tenebre della notte si apprestavano a scendere su quel Venerdì unico nella storia, quando ormai il sacrificio della Croce si era consumato e i presenti si affrettavano per poter celebrare regolarmente la Pasqua ebraica, le poche parole, carpite dalle labbra di un anonimo comandante della truppa romana, risuonarono nel silenzio dinanzi a quella morte molto singolare. Questo ufficiale della truppa romana, che aveva assistito all’esecuzione di uno dei tanti condannati alla pena capitale, seppe riconoscere in quell’Uomo crocifisso il Figlio di Dio, spirato nel più umiliante abbandono. La sua fine ignominiosa avrebbe dovuto segnare il trionfo definitivo dell’odio e della morte sull’amore e sulla vita. Ma così non fu! Sul Golgota si ergeva la Croce da cui pendeva un uomo ormai morto, ma quell’Uomo era il “Figlio di Dio”, come ebbe a confessare il centurione – “vedendolo morire così”, precisa l’evangelista.