Meditazioni 12 giugno 2017
Facciamo nostra la preghiera che santa Teresina scrive alla Madre Priora del Carmelo alcuni mesi prima di morire:“Madre amata, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a lui, che egli viva e agisca in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal braciere divino) correranno rapidamente all’effluvio dei profumi del loro amato, perché un’anima infiammata di amore non può restare inattiva: certo, come santa Maddalena resta ai piedi di Gesù, ascolta la sua parola dolce e infuocata. Sembrando non dare niente, dà molto di più di Marta che si agita per molte cose e vorrebbe che la sorella la imitasse. Non sono i lavori di Marta che Gesù biasima: a questi lavori la sua madre divina si è umilmente sottomessa per tutta la sua vita poiché doveva preparare i pasti per la Santa Famiglia. È solo l’inquietudine della sua ardente ospite che vorrebbe correggere”. Il Signore Gesù, correggendo Marta, vuole richiamare ciascuno di noi e riaffermare che tutto quello che è necessario è lì davanti ai suoi occhi come qui ora davanti ai nostri. Che “l’unum necessarium” è la Sua presenza. Che tutto quello che facciamo o è mosso dalla Sua presenza o è votato alla dispersione, all’inconsistenza e al nulla (Nicolino Pompei, Guardate a Lui e sarete raggianti).
Affidiamo a Maria Santissima Papa Francesco, ciascuno di noi, Nicolino e ognuna delle persone per cui ci è stato chiesto di pregare: Alessandro, Alessandro, Andrea, Carla, Cristina, Ella, Elvira, Franco, Franco, Giorgio, Giuliano, Lorena, Luciano, Mauro, Serena. Preghiamo anche per tutti i ragazzi che in questi giorni stanno affrontando l’esame di 3° media e per quanti si stanno preparando all’esame di maturità.
O Dio, vieni a salvarmi
Signore, vieni presto in mio aiuto
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
Come era nel principio è ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen
Invocazione allo Spirito Santo…
Nel primo mistero della gioia contempliamo l’annuncio dell’angelo a Maria
“Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino”. Solo gli umili prestano attenzione alla presenza del Signore. Chi non è umile è pieno di sé, pieno della sua misura, non ascolta altro che se stesso, non confida in nessun altro che in se stesso, piegando tutto alla sua presunzione. Gli umili e i poveri sono totalmente tesi al Signore, sempre tesi a cercare il Signore, a lasciarsi afferrare dalla Sua presenza. (…) È l’atteggiamento di chi riconosce la sua vera natura e nel Signore tutta la vera ricchezza, capacità, forza e beatitudine. Per questo solo gli umili e i poveri si rallegrano nel sentirlo parlare (Nicolino Pompei, Guardate a Lui e sarete raggianti).
Nel secondo mistero della gioia contempliamo la visita di Maria alla cugina Elisabetta
“Celebrate con me il Signore. Ho cercato il Signore ed egli mi ha risposto”. I poveri sono incessantemente nella mendicanza e nell’attesa del Signore. È la tensione normale di un uomo che si riconosce uomo, che prende sul serio l’avvenimento della sua umanità. E il Signore risponde, sempre. “Egli mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato”. Chi scrive e prega questo salmo è sicuramente un uomo segnato dall’esperienza di una radicale e continua familiarità con Dio. Vive nell’assoluta certezza esperienziale che solo chi confida in Lui trova, pur dentro le inevitabili tribolazioni della vita, l’unica capacità di affronto della realtà e il fondamento della sicurezza e della stabilità. Quello che però voglio richiamarvi è che l’uomo che prega e scrive questo salmo, che loda e benedice il Signore, non è segnato dall’avvenimento dell’incarnazione di Dio, dall’avvenimento della presenza di Gesù nella storia. È una preghiera scritta secoli prima della nascita di Gesù. Nel mistero dell’incarnazione, la risposta di Dio al grido dell’uomo è un Uomo che accade davanti ai propri occhi, che si incontra come presenza nella presenza di Gesù (Ibi).
Nel terzo mistero della gioia contempliamo la nascita di Gesù a Betlemme
“Guardare a Lui, cercare il Signore, ascoltarlo…”: è proprio l’esperienza del guardare Uno presente, del cercare un uomo vivo, dell’ascoltare un uomo reale che ci parla e ci chiama. Noi preghiamo questo salmo, come tutti i salmi, usando le medesime parole, ma nella coscienza di un Dio fatto uomo. Nella coscienza della rivelazione di Dio nella storia nella presenza di Gesù. Nella coscienza che Chi domandiamo, lodiamo e desideriamo guardare è proprio un volto nella storia. Una presenza da incontrare e da riconoscere come la massima e definitiva rivelazione di Dio all’uomo. Come la massima e definitiva risposta di Dio al cuore dell’uomo. Che siamo chiamati ad incontrare come un “TU” presente, che possiamo guardare, toccare e da cui possiamo lasciarci abbracciare. Che struggimento pregare e seguire l’esortazione che il salmo ci rivolge nella coscienza di poter incontrare il volto di Dio nel volto di Cristo presente! Non qualcuno da sentire interiormente o attraverso visioni misticheggianti. Ma una presenza da riconoscere e guardare nell’esperienza reale e sensibile della vita in atto. A cui potersi rivolgere per attaccare tutto se stessi (Ibi).
Nel quarto mistero della gioia contempliamo la presentazione di Gesù al tempio
“C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?”. La domanda che ci pone il salmo è solo apparentemente retorica, perché naturalmente tutti gli uomini desiderano la vita. Ma la vera intenzione di questa domanda è richiamare ciascuno alla possibilità di affermazione piena della vita nella sua assoluta esigenza di bene. Una possibilità che viene riconosciuta solo nell’esperienza di guardare Gesù. “Guardate a Lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti”. Guardare a Lui per essere raggiunti dal Suo sguardo, in cui solo la vita trova la sua massima esplicitazione, irradiazione e soddisfazione di benessere; trova la sua massima rivelazione di verità, in cui solo è possibile vincere la confusione, lo smarrimento e lo sgomento che così spesso la attanagliano. “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”. È un richiamo concretissimo. Innanzitutto, un richiamo alla realtà umanissima e sensibile di un vedere e di un gustare. E di un vedere e di un gustare che aprono all’esperienza di una reale beatitudine. Una reale beatitudine che accade nella vita di chi confida nel Signore (Ibi).
Nel quinto mistero della gioia contempliamo Maria e Giuseppe che ritrovano Gesù nel tempio dopo averlo smarrito
“Questo povero grida e il Signore l’ascolta”. (…) Chi prende sul serio il proprio umano, chi giudica lealmente la propria esperienza umana non può non riconoscere nell’espressione del povero, del mendicante, quella più adeguata al suo essere uomo, al suo costitutivo desiderio che “desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene”. Il povero di spirito è l’uomo cosciente del suo bisogno, coincidente con il suo bisogno, con la sua fame e la sua sete di infinito, cioè di Dio. E questo uomo grida, grida con tutto se stesso al Signore. Perché ha coscienza di sé. È leale con l’esperienza del suo umano, che non censura mai, anche nei suoi momenti di inquietudine, paura e angoscia. Momenti drammatici che, se presi sul serio, risultano i più grandi alleati per una presa di coscienza umile e permanente di ciò che siamo, del nostro vero bisogno, della portata del nostro desiderio. Continua ancora il salmo: “I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla… Nulla manca a coloro che lo temono”. “Nulla manca”, perché il Signore è realmente tutta la nostra fame, tutto il nostro bisogno, tutto il nostro desiderio e quindi la nostra piena e continua soddisfazione (Ibi).