Meditazioni 10 settembre 2012
“Al centro del Vangelo di [ieri] (Mc 7,31-37) c’è una piccola parola, molto importante. Una parola che – nel suo senso profondo – riassume tutto il messaggio e tutta l’opera di Cristo. L’evangelista Marco la riporta nella lingua stessa di Gesù, in cui Gesù la pronunciò, così che la sentiamo ancora più viva. Questa parola è «effatà», che significa: «apriti». Vediamo il contesto in cui è collocata. Gesù stava attraversando la regione detta «Decapoli», tra il litorale di Tiro e Sidone e la Galilea; una zona dunque non giudaica. Gli portarono un uomo sordomuto, perché lo guarisse – evidentemente la fama di Gesù si era diffusa fin là. Gesù lo prese in disparte, gli toccò le orecchie e la lingua e poi, guardando verso il cielo, con un profondo sospiro disse: «Effatà», che significa appunto: «Apriti». E subito quell’uomo incominciò a udire e a parlare speditamente. Ecco allora il significato storico, letterale di questa parola: quel sordomuto, grazie all’intervento di Gesù, «si aprì»; prima era chiuso, isolato, per lui era molto difficile comunicare; la guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo, un’apertura che, partendo dagli organi dell’udito e della parola, coinvolgeva tutta la sua persona e la sua vita: finalmente poteva comunicare e quindi relazionarsi in modo nuovo.
Ma tutti sappiamo che la chiusura dell’uomo, il suo isolamento, non dipende solo dagli organi di senso. C’è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il «cuore». È questo che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Ecco perché dicevo che questa piccola parola, «effatà – apriti», riassume in sé tutta la missione di Cristo. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, a comunicare con Dio e con gli altri. Per questo motivo la parola e il gesto dell’«effatà» sono stati inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano il significato: il sacerdote, toccando la bocca e le orecchie del neo-battezzato dice: «Effatà», pregando che possa presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede. Mediante il Battesimo, la persona umana inizia, per così dire, a «respirare» lo Spirito Santo, quello che Gesù aveva invocato dal Padre con quel profondo sospiro, per guarire il sordomuto” (Benedetto XVI, Angelus del 9.09.12).
Invochiamo anche noi lo Spirito Santo perché apra e guarisca il nostro cuore
“Ci rivolgiamo ora in preghiera a Maria Santissima, di cui [sabato] abbiamo celebrato la Natività. A motivo del suo singolare rapporto con il Verbo Incarnato, Maria è pienamente «aperta» all’amore del Signore, il suo cuore è costantemente in ascolto della sua Parola. La sua materna intercessione ci ottenga di sperimentare ogni giorno, nella fede, il miracolo dell’«effatà», per vivere in comunione con Dio e con i fratelli” (Benedetto XVI, Angelus del 9.09.12). A Maria Santissima affidiamo ciascuno di noi, Nicolino e tutte le sue intenzioni. In particolare preghiamo per Lorenzo, un ragazzino che nei giorni scorsi è morto in un incidente a Grottammare, e per la sua famiglia; preghiamo per tutte le persone malate, anziane e sole; in particolare preghiamo per Isabella, la cognata di Francesca Pompei, per Oliviero, il papà di Marco Olivetti, per Stefano, il figlio di Claudia Gerbi, per Stefania, Francesca e Palma, che Francesca Pallottini ed altre nostre amiche hanno il dono di accompagnare e sostenere in questo momento di grave malattia. Affidiamo alla Madonna anche tutti gli studenti e gli insegnanti, perché accolgano con gratitudine e passione l’avventura del nuovo anno scolastico che sta per cominciare.
Nel primo mistero del dolore contempliamo l’agonia di Gesù nel Getsemani
In Cristo Gesù l’Amore di Dio, il suo essere Misericordia, accade in un Uomo. Accade e si rivela come Uomo: ha lo sguardo di un Uomo, ha l’abbraccio di Uomo che va incontro al figlio perduto, confuso, sconfitto, abbandonato a se stesso; ha la presenza umana di un Uomo che si riversa commosso sull’umano caduto e sconfitto, senza forza e direzione. E soprattutto ha lo sconvolgente documento di un Uomo che ama sino a consegnarsi alla morte, a morire della morte che non conosce, non può conoscere, perché è Dio. Perché? Solo per Amore dell’uomo che muore e a vantaggio della salvezza dell’uomo che muore (Nicolino Pompei, Caritas Christi urget nos).
Nel secondo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene flagellato
Cristo è l’inaudito amore di Dio che accade e si dimostra nella storia in tutto il suo essere Misericordia. Misericordia… “parola” sconosciuta ed impossibile all’uomo perché attinente solo a Dio, all’Essere di Dio che in Gesù, nella presenza di Gesù, diventa uno sguardo umano incontrabile e sperimentabile. Uno sguardo di Uomo che investe e rialza anche l’umanità più sfinita e sfibrata dal male mentitore e menzognero – di cui così spesso siamo insensati seguaci. L’Amore di Cristo è tutta la sconvolgente manifestazione, nella carne di un Uomo, dell’Amore di Dio per ogni uomo, dell’Amore che si lascia abbattere da ciò da cui siamo sempre battuti ed abbattuti, per rialzarci e risollevarci al livello dell’Infinito da cui siamo creati e di cui siamo immagine e somiglianza e quindi costitutiva e continuativa esigenza esistenziale (Ibi).
Nel terzo mistero del dolore contempliamo Gesù che viene coronato di spine
Il suo essere Amore è il suo agire. Il suo essere Amore che solo per Amore “annientò se stesso prendendo natura di servo, diventando simile agli uomini; e apparso in forma umana si umiliò facendosi obbediente fino alla morte in croce”, come afferma san Paolo nella Lettera ai Filippesi. La spogliazione di se stesso e l’accadere come Uomo non significa togliersi la natura divina, cessare di essere Dio, ma è il documento sconvolgente del suo Mistero di Amore che in Gesù assume la natura umana soggetta alla sofferenza, al dolore, ai patimenti e alla morte. Che nella carne di Gesù assume tutta l’infamia del peccato e delle sue conseguenze sull’uomo, fino a morire, solo per Amore e solo a vantaggio della salvezza di ogni uomo (Ibi).
Nel quarto mistero del dolore contempliamo Gesù che sale al Calvario
Un Amore che si dimostra coinvolto con noi fin dentro le minime fessure del nostro umano straziato dal dolore e dal male, e sino alla commozione per questo umano. Un Amore che si rivela come Amore che ci ama sino alla pietà e allo struggimento per il nostro umano straziato, disintegrato dalla sofferenza a causa del male e della nostra empietà ostinata. Un Amore così coinvolto con l’umano afflitto, atterrito e sotterrato dalla morte da consegnare se stesso gratuitamente e liberamente alla morte, e alla morte di croce. Un Amore che si consegna all’amato sino a morire per dissotterrare, rialzare, rimettere in piedi e in cammino la vita di ognuno (Ibi).
Nel quinto mistero del dolore contempliamo Gesù che muore in croce
Gesù crocifisso, squarciato nella sua carne fino alla morte, diventa il documento inaudito dell’Essere di Dio: Dio è Misericordia, Amore, solo Amore, Amore mosso e commosso solo dal suo essere Amore a vantaggio dell’umano flagellato dalla miseria che siamo… Nella carne di Cristo crocifisso c’è “quel volgersi di Dio contro se stesso” – come ha affermato in maniera struggente Benedetto XVI – che solo per Amore, puro e assoluto Amore, assume tutto quello che di misero, marcio e mortale affligge e sprofonda l’uomo e da cui l’uomo stesso si lascia affliggere e sprofondare; affinché, liberato dal tremendo giogo del male, sempre riprenda a camminare nella vita, dentro ad ogni istante della sua vita; incessantemente riammesso alla Vita, riammesso – dentro ad ogni passo terreno – al cammino di felicità e al suo compimento definitivo nella Vita eterna: suo vero destino.