Meditazioni 10 dicembre 2012
Accogliamo il dono del nostro volantino di Natale e da esso ci lasciamo introdurre all’Affidamento di questa sera:
Guardate a Lui e sarete raggianti
La fede è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo. […] Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’è l’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù. Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio.
Benedetto XVI
Tutto quello che siamo chiamati a vivere è tenere fisso lo sguardo a Gesù, dove è la vera vita e la vera gioia del cuore. Guardare Gesù: si può immaginare qualcosa di più semplice e più facile di guardare in faccia Uno; di guardare in faccia Uno presente? Nessuno sforzo titanico, nessun progetto di coerenza o di perfezione normativa, nessuna capacità eroica ed eccezionale. Semplicemente il tendere di tutto noi stessi a guardare la presenza di Gesù, che sempre ci viene incontro mendicando il nostro sguardo. Rendendo ancora più semplice il guardarlo. Semplicissimo ma drammatico. Perché questo comporta lo smettere di adorare se stessi, di seguire se stessi, di affermare se stessi come misura di tutto, di voler far consistere in se stessi la vita. “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi la perderà per me la salverà”. […] Basta un accenno di sguardo per essere tirati dentro il Suo. Il Suo sempre presente e sempre fedele. Occorre semplicemente cedere all’attrattiva del Suo sguardo che ci investe sempre. Accettando di lasciarsi spostare dal nostro dominio – dentro cui la vita perde sempre – per lasciarsi definire dalla Sua signoria – dentro cui la vita si trova e si guadagna sempre.
Nicolino Pompei
…Invocazione allo Spirito Santo
Nel giorno in cui la festeggiamo come Vergine lauretana, affidiamo alla Madonna ciascuno di noi, Nicolino e tutte le intenzioni che porta nel suo cuore; in particolare invochiamo l’intercessione di Maria per Stefania, Francesco, Luisa e Giuseppa per i quali c’è stato chiesto di pregare.
Nel primo mistero della gioia contempliamo l’annuncio dell’Angelo a Maria
La prima reazione [di Maria] al saluto dell’angelo è di turbamento e pensosità. La sua reazione è diversa da quella di Zaccaria. Di lui si riferisce che si turbò e “fu preso da timore”. Nel caso di Maria, inizialmente è usata la stessa parola (fu turbata), ma poi non segue il timore, bensì una riflessione interiore sul saluto del’angelo. Maria riflette (entra in dialogo con se stessa) su che cosa significhi il saluto del messaggero di Dio. Così emerge già qui un tratto caratteristico dell’immagine della Madre di Gesù, un tratto che incontriamo nel Vangelo altre due volte in situazioni analoghe: l’interiore confrontarsi con la Parola. Lei non si ferma al primo turbamento per la vicinanza di Dio nel suo angelo, ma cerca di comprendere. Maria appare quindi una donna coraggiosa, che, anche di fronte all’inaudito, mantiene l’autocontrollo. Al tempo stesso, è presentata come donna di grande interiorità, che tiene insieme il cuore e la ragione e cerca di capire il contesto, l’insieme del messaggio di Dio. In questo modo, diventa l’immagine della Chiesa che riflette sulla Parola di Dio, cerca di comprenderla nella sua totalità e ne custodisce il dono nella sua memoria (Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù).
Nel secondo mistero della gioia contempliamo la visita di Maria alla cugina Elisabetta
La visita di Maria ad Elisabetta, che deriva come conseguenza dal colloquio tra Gabriele e Maria, porta – ancora prima della nascita – ad un incontro, nello Spirito Santo, tra Gesù e Giovanni, e in questo incontro si rende al contempo evidente anche la correlazione delle loro missioni: Gesù è il più giovane, Colui che viene dopo. Ma è la vicinanza che fa sussultare Giovanni nel grembo materno e colma Elisabetta di Spirito Santo. Così appare oggettivamente, già nei racconti di san Luca sull’annuncio e sulla nascita, ciò che il Battista dirà nel Vangelo di Giovanni: “Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me” (Ibi).
Nel terzo mistero della gioia contempliamo la nascita di Gesù
Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia del Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte. Egli è fin dall’inizio l’Immolato. Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato in modo più attento, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo – come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini (Ibi).
Nel quarto mistero della gioia contempliamo la presentazione di Gesù al Tempio
Il vecchio Simeone e la profetessa Anna – mossi dallo Spirito di Dio – compaiono al Tempio e salutano come rappresentanti dell’Israele credente il “Cristo del Signore” […] Simeone è uno che spera e attende, e proprio così riposa su di lui già ora lo “Spirito Santo”. Potremmo dire che è un uomo spirituale e perciò sensibile alle chiamate di Dio, alla sua presenza. Così parla adesso anche come profeta. Dapprima prende il bambino Gesù tra le braccia e benedice Dio dicendo: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Ibi).
Nel quinto mistero della gioia contempliamo il ritrovamento di Gesù nel Tempio
La risposta di Gesù alla domanda della madre è impressionante: Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve trovarsi nella casa del Padre, “nelle cose del Padre”. Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il mio posto – presso il Padre, nella sua casa. In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. Maria aveva detto: “Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Gesù la corregge: io sono presso il Padre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Altro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù? Con ciò è direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un “dovere” al quale Egli si attiene. Il figlio, il bambino deve essere presso il padre […] Egli deve essere presso il Padre, e così diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei confronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione […] La missione divina di Gesù rompe ogni misura umana e diventa per l’uomo sempre nuovamente un mistero oscuro. Per Maria, qualcosa della spada del dolore di cui aveva parlato Simeone diventa percettibile in quell’ora. Più una persona si avvicina a Gesù, più viene coinvolta nel mistero della sua Passione (Ibi).