Nuove scritte a Genova
A preoccupare il brodo di coltura
La Chiesa è prepotente, loro sono democratici. È questo lo schema che spesso ricorre nei ragionamenti (parola impegnativa) che vengono mossi da certo estremismo politico. Le accuse alla Chiesa le leggiamo su taluni giornali, le ascoltiamo nei cortei, le scorgiamo nelle vignette: violenta, aggressiva, addirittura razzista. Sono accuse che si intensificano in alcune stagioni, come quest’ultima, contrassegnata dal dibattito sui destini della famiglia insidiata dai tentativi di legalizzazione delle coppie di fatto. Accuse che erano pretestuose fino a ieri, ma che diventano grottesche oggi, perché provengono all’incirca dagli stessi ambienti culturali in cui, è lecito presumerlo, si collocano gli autori delle ripetute scritte genovesi contro il presidente della Cei. Per ora è solo terrorismo spray, d’accordo, il rosso e il nero sono solo vernice; ma è inevitabile domandarsi come tenterà di giustificare queste minacce chi nelle scorse settimane ha tacciato la Chiesa italiana di avere scarsa inclinazione alla vita democratica. Purtroppo, non è la prima volta che si appalesa questo rancore sgrammaticato, e non è la prima volta che il messaggio fortemente etico della Chiesa attizza la reazione di chi sul disorientamento sociale ci campa. Se non di sentimento anti-cattolico, si può parlare certamente di un “fastidio” da parte di taluni milieu culturali e politici; un fastidio che rischia di essere emulato con iniziative criminali. Il caso genovese, per il momento, mantiene i contorni di un “episodio”, sulla cui pesantezza tuttavia non ci sono dubbi, soprattutto se confrontato con la mitezza del “bersaglio”, che è lo stile proprio del pastore di quella città, “colpevole” solo di essere stato volgarmente equivocato dieci giorni fa, durante una conversazione condotta in un incontro pastorale. Gli si sono attribuiti esempi ed accostamenti che tali erano solamente nella fantasia di un giovane cronista, e poi nel pressapochismo dei colleghi di agenzia che di quell’amar o equivoco si sono fatti rapidi diffusori. Da quel momento, l’arcivescovo Bagnasco è diventato un bersaglio sensibile: ma è mai possibile che viviamo in un Paese così eccitato ed eccitabile, così isterico ed intollerante? Non sappiamo se dietro certi volantini distribuiti la vigilia di Natale e dietro le scritte violente comparse ieri mattina in un quartiere di Genova vi siano solo dei delinquentelli da vicolo o un gruppo un po’ più organizzato. Per ora nulla lascia intendere che questo episodio vada collegato alla recrudescenza del fenomeno brigatista, pure emersa a livello nazionale nelle scorse settimane. Quel che tuttavia sappiamo è che il salto tra la microcriminalità politica e l’avventurismo di indole terroristica è più probabile se il brodo di coltura è abbondante e caldo al punto giusto. Se gli obiettivi più sensibili sono abitualmente lasciati soli, rispetto allo scherno pubblico e alla maldicenza generalizzata. Se la “strana” propensione cattolica a coniugare il rispetto dei valori con la carità e il dialogo anche nei confronti di chi non li condivide viene sistematicamente fraintesa da quanti considerano l’etica alla stregua di un abito reversibile. Quel che impressiona è la frequenza con cui questo fastidio si trasforma in parola estremistica e travalica la critica o la satira per diventare attacco personale, derisione gratuita, urlo che vuole zittire, falsificazione storica. Avviene ormai quotidianamente nel Paese in cui qualcuno – l’ha fatto Liberazione – paragona il clero al Ku Klux Klan, o vien permesso di salire in cattedra a un Oreste Scalzone così che “spieghi” ai giovani la storia del terrorismo, o ci si straccia le vesti se viene catturato un superlatitante del calibro di Cesare Battisti. È lo stesso Paese che, guarda caso, viene invitato dalla tv pubblica a ridere delle giullarate di Dario Fo, che sfrutta il palcoscenico di Rai Tre per colpire i vescovi italiani con toni che fanno rimpiangere tutti i saltimbanchi precedenti. È u na violenza fatta solo di parole, certo, ma che proprio per questo può passare rapidamente di bocca in bocca, di mente in mente, e finire su un muro di Genova.